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Cancun, dove è nato il concetto di overtourism (7/10/2024 - l'Adige)

Immagine del redattore: Maurilio BarozziMaurilio Barozzi

Aggiornamento: 7 dic 2024



Maurilio Barozzi - Le Città nei libri/6


CANCÚN (Messico) - Cancún è il Messico che nasce. Cancún è il Messico che muore. Città figlia di un dollaro americano che ha passato la frontiera tra le chiappe di un contrabbandiere. Adesso, ripulito, quel dollaro può essere pure sventolato. Dunque, specie ora che il concetto di overtourism è sulla bocca di tutti, se vai nello Yucatán, penisola che sporge a sud est del Messico, devi visitare anche Cancún. Non dar retta a chi ti dice di evitarla «perché è troppo turistica», «perché quello non è Messico». Guadagnati il diritto di dire ciò che pensi su una città di 900 mila abitanti e svariati milioni di turisti ogni anno che nel 1960 non era neanche sugli atlanti. Non ci credi? Controlla. Io l’ho fatto con un De Agostini (1959) dei miei genitori: manco un puntino sulla mappa. Infatti: nel 1938 Graham Greene scartò completamente quella zona nel viaggio da cui scaturì il reportage “Le vie senza legge”, preferendo scendere in Chiapas. Eppure, illustra Pino Cacucci nel suo “La polvere del Messico”, con la sabbia «fine e bianchissima, fenicotteri rosa che arrivano a nugoli, fondali corallini frequentati da paciose targarughe giganti», «Cancún è il condensato dell’immaginario collettivo su come dovrebbero essere i Caraibi».


Tutto originò verso il 1970. Negli Stati Uniti hanno calcolato che lì, in due secoli, non era mai passato alcun uragano: un posto sicuro per costruirci Bengodi. Inoltre, spiega ancora Cacucci, «i computer della Banca del Messico, opportunamente interpellati, decretarono che quell’isola lunga diciannove chilometri poteva facilmente essere collegata alla terraferma con agevoli strade sopraelevate. E così, nel giro di un lustro, avveniristici alberghi e fantasiose piscine si alternavano a campi da tennis e da golf». Poi sono arrivati pure gli uragani… Vatti a fidare degli algoritmi.


Certo, se percorri lo Yucatán, devi visitare il sito maya di Chichen Itza e apprendere la cultura dei sacrifici umani, un rituale che nel Messico intero pare aver ritrovato rinnovati adepti, specie tra le prolifiche famiglie dei narcos. Prima che distruggano tutto costruendo il “Treno Maya”, affrettati anche a Tulum, o – col suo antico nome – Zamna (prima luce). Ascolta la storia delle mura, fatte di pietra vulcanica barattata col sale di Coba, il cacao e le pelli di giaguaro e poi tagliata con la giada del Guatemala. Fatti raccontare di come gli indios indicavano alle navi al largo la via per attraversare la barriera corallina permettendo loro di attraccare. Magari resta a dormire in una cabana sulla spiaggia e goditi le stelle nel fresco della notte.

Osserva il cane messicano (xoloitzcuintle), senza pelo, a guardia delle tombe e impara la storia di Gonzalo Guerrero e del primo matrimonio meticcio. Non scordarti i cenote, pozzi dove veniva raccolta l’acqua piovana. Fai il bagno nella splendida baia di Xel-Ha, nuotando nell'acqua calda e cristallina in mezzo a centinaia di pesci tropicali che ti sfiorano il corpo. Una volta era una laguna incontaminata; ora è riservata, e per entrare si paga. Apprendi il segreto delle tortillas, fatte con un impasto d’acqua, farina di mais e calce – sì, calce –; del chewing-gum, il chicle, che si estrae dall’albero chicozapote. Bevi tequila mischiato a cerveza.

Fai una tappa nelle piccole città coloniali, come la splendida Valladolid o la gialla Izamal prima di recarti a Merida, la capitale dello Yucatán.

Sappi però che nel frattempo il lercio dollaro svolazza. Dalle mutande del passatore si è già spostato e farà di ogni luogo qualcosa che neanche immagini, se non vai a vedere Cancún.


Parti dalla “zona vecchia” (Ciudad Cancún), che ricalca grosso modo l'idea di una città messicana, con gli edifici bassi e i colori vividi. Allucinato dal sole e dagli scarichi delle auto, crepa di caldo nelle stradine periferiche tra macchine scassate e con pezzi di ferro spurgati dall'asfalto squagliato e rotto. Compera in un ‘supermarket’ o in un mercato con segnati dalla pelle olivastra che chiedono carità. Ma poi fatti un salto nella Zona Hotelera. Lì – dove il richiamo artificiale è hollywoodiano – ci stanno i turisti chiusi «nei loro alberghi a cubo o a pozzo o a piramide» ricorda Andrea De Carlo in “Yucatan”. Lì nessuno ti chiederà l’elemosina. Lì ci vanno quelli che Antonio Tabucchi in “Viaggi e altri viaggi” ha chiamato “I Robinson”: «Creature di Düsseldorf o di Austin, vogliose di provare la sensualità dei Tropici, in una danza frenetica offrono i loro corpi al Dio del Turismo Globale». È la “cancunizzazione” di cui parla Duccio Canestrini in “Andare a quel paese”.


Cancún è il costo di uno stupro consumato approfittando di strade sporche, piedi scalzi e pochi dollari al giorno di stipendio in cambio di giornate intere di lavoro e di vita. Ma il satrapo è ricco. Vuole mantenere rispettabilità. Mentre abusa riveste tutto con champagne. Mance. Palme. Ristoranti. Discoteche. Night club. Ragazze squillo. Luci. Resort scintillanti. Signori, godete: la Zona Hotelera.

Finto piacere, prepotenza gentile. Equivoco ossimoro generato dal lavoro che oggi Cancún elargisce ai suoi nuovi figliastri arrivati da Città del Messico, Oaxaca, Monterrey… Lì per sfuggire ad un destino di morte precoce da spacciatore o di sequestratore; lì per guadagnare qualcosa dal turismo: 20 km di alberghi extralusso su una supposta d’asfalto a quattro corsie spinta a forza nel mare cristallino.

E allora, proprio a cominciare dalla Zona Hotelera, quel dollaro lo tocca anche chi ne ha un dannato bisogno per mangiare e per vivere in un luogo dove i prezzi sono ormai tarati sui milioni di turisti, non sui residenti. Chi tocca perdona e, a forza di spostarsi di mano in mano, quel lurido dollaro si pulisce. Assieme alla coscienza di chi l'ha portato lì, in un paradiso caraibico da cartolina.

Vai, vai a vederla Cancún: è il Messico che nasce, è il Messico che muore.


Maurilio Barozzi - L'Adige, 7 ottobre 2024




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Maurilio Barozzi

mauriliobarozzi@gmail.com

GIORNALISTA, SCRITTORE, SAGGISTA

Tessera professionale n. 056016 (del 11/10/1998)

P. iva IT02736880226

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