Nel 1952, quando, alle Olimpiadi di Helsinki, vinse tre medaglie d'oro (5.000, 10.000 e maratona), Emil Zatopek era ormai una star acclamata. Aveva già vinto l'oro nei 10.000 e l'argento nei 5.000 a Londra, nel 1948: la tripletta di Helsinki lo consacrò. Ma cosa significava essere uno sportivo numero uno nella Cecoslovacchia comunista? È il tema affrontato dallo scrittore Jean Echenoz nel suo libro “Correre”: può esimersi dalla responsabilità intellettuale e dalla critica al potere un atleta divenuto famoso? E in questo periodo di mondiali di atletica e di guerra in Ucraina l’interrogativo si fa urgente. Echenoz racconta la vita di Zatopek per flash, facendoci apprezzare la determinazione e l'entusiasmo del giovane corridore che, nonostante la sgraziata tecnica, è riuscito a imporsi. Quelle pagine ci dicono pure il suo impegno a fianco dell’ascendente presidente Alexander Dubcek che aveva abolito la censura. Aveva liberato gli scrittori incarcerati per reati di opinione. Aveva dato la possibilità a tutti di viaggiare all'estero. Aveva ripristinato la legalità e il diritto. Nell’agosto 1968 i sovietici entrarono a Praga con i carri armati per mettere fine a quell’esperienza politica libertaria così Zatopek – a 46 anni – partecipò alle manifestazioni di piazza e con la popolarità dell'uomo più famoso di Cecoslovacchia, denunciò l'invasione. La pagò cara. Fu cacciato dal partito e spedito come magazziniere nelle miniere di uranio di Jáchimov, lontano dalla moglie. Dopo sei anni, per umiliarlo, lo richiamarono a Praga e lo fecero spazzino. Ma la mossa fu sbagliata perché quando passava sul carro delle immondizie, Zatopek veniva acclamato da tutti i cittadini di Praga che se lo ricordavano benissimo. Così il partito lo rimandò in campagna a scavare buchi per i pali del telegrafo. Infine, dopo altri due anni che lo fiaccarono nell’animo, stremato, Emil Zatopek firmò una dichiarazione in cui si dichiarava pentito di avere sostenuto «le forze controrivoluzionaria e i revisionisti borghesi». Così arrivò pure il perdono, con un nuovo lavoro da Archivista. Conclude amaro il mite Emil: «Bene. Archivista, probabilmente non meritavo di meglio».
Jean Echenoz, “Correre”, Adelphi, 2009.
(L'Adige 18/7/2022)
Maurilio Barozzi
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