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Brasile 2014, Götze Mundial (14/7/2014)

Aggiornamento: 16 ago 2023


RIO DE JANEIRO – E' stato Götze - faccia da bimbo, piede fatato - a chiudere il discorso con l'Argentina. Ha messo sulla maglietta della Germania la quarta stella (come l'Italia, ahinoi) e ha freddato il portiere argentino Romero dopo 113 minuti di resistenza strenua. Ecco, con pazienza, tenacia e abnegazione la Germania è arrivata dove voleva e, diciamolo, doveva arrivare. Sul tetto del mondo brasiliano. Prima europea a vincere un mondiale in Sudamerica. Prima squadra a meritare il titolo dalla prima partita, a Salvador: 4-0 al Portogallo, all'ultima. Giusto così. Deutschland über alles. Eppure... «La creatività è come qualsiasi altra cosa buona: devi aspettarla», diceva Bukowski. Gli argentini hanno imparato la lezione a menadito. Pazienza, pazienza, pazienza. E, si passi il francesismo, culo. Ma in qualche modo l'hanno imparata anche i tedeschi.


In campo c'è cuore, ja genau. Specie da parte dei tedeschi. Che mettono solo quello di tutta la arzilla potenza dimostrata fino alla finale. Ma di fronte hanno Martin Fierro: gaucho col coltello tra i denti, senza regole, senza paura, grande cuore. E i tedeschi, lì si perdono. Un pachiderma stolto: sembra il solito trito cliché, ma la faccenda è quella. Perso Khedira nel riscaldamento (al suo posto Kramer che a sua volta è uscito al 31' per una zuccata), la Germania è partita arrembante. Poi si è intimorita di fronte al cane randagio che è l'Argentina, capace di nutrirsi in qualsiasi antro. E loro, Herr Löw e compagnia, abituati al tram tram settimanale e all'uscita del sabato con uno che guida e non beve e gli altri che si stendono di birra – sempre così, sempre uguale – non hanno più capito un tubo. Ma stavolta hanno saputo soffrire e attendere la stoccata di Götze.

E così Deus não è brasileiro. Se lo fosse stato, lo ha ucciso la Germania, parafrasando Guccini. E lo ha sepolto l'Olanda, che con tre gol ha rovistato nelle interiora di Felipão togliendogli ogni velleità di perseveranza alla guida della Seleção. Ecco, probabilmente ha ragione Tom Waits: ogni tanto Dio si ubriaca e si dimentica dei suoi fedeli. Però almeno ha salvato i brasiliani dalla beffa dell'Argentina campione a Rio de Janeiro.

Infatti: è il giorno dell'esplosione del Maracanã. E se dentro settantacinquemila persone sono arrivate con tre ore di anticipo per vedere lo show di Ivete Sangalo e le scuole di samba di Rio, fuori è un assedio argentino. Non hanno trovato i biglietti ma sono lì, a tifare per strada: bandiere, magliette, «Argentina, Argentina», birra, mate e tutto quello che se puede tomar. I baretti nei pressi dello stadio da mezzogiorno non danno più alcolici (ma allo stadio puoi bere un ettolitro, se hai la pancia che lo tiene), ma gli argentini arrivano preparati: portabagagli pieni e vida loca. Tedeschi compassati, ça va sans dire. Quelli che sono qui hanno tutti in tasca il loro bel bigliettone per la partita: e se la vedono da dentro, torceando con i brasiliani, juntos num sò ritmo, uniti allo stesso ritmo, come stanno dicendo da un mese. I tedeschi fraternizzano, ma alla fine vogliono vincere: sanno che hanno una scuola di calcio importante, un progetto di lavoro che con il tecnico Löw ha portato i tedeschi a giocare a memoria e spedire in gol giocatori da tutte le parti del campo.


Ieri, in finale, i tedeschi si sono incagliati di fronte alla lucente lama di Martin Fierro, intimoriti come un pugile di fronte a un novellino. Ma – contrariamente alla loro tradizione – sono riusciti a resistere alla ruvida tenacia gaucha. Hanno atteso, pazienti, il colpo di genio: che è arrivato sotto le spoglie di quello stop perfetto e tiro di sinistro in diagonale al volo di Goetze, entrato a sostituire Klose nel finale di partita. La poesia di quel colpo vale una serata iridata, vale una carriera, vale una vita. Lui, dopo un partita chiusa, sfacciatamente difensiva e intimorita, ha inventato il colpo di genio. Schürrle, anche lui entrato a partita iniziata, ha fatto l'assist; Götze - barbetta che sembra muffa e volto da quattordicenne - ha stoppato di petto come poteva fare Pelé e ha calciato in porta al volo di sinistro. Arte, pura.


Messi, dall'altra parte del campo guardava. Stava pensando: Maradona è un'altra cosa, ma lavorerò per superarlo.

Intanto è ancora dietro.

(L’Adige, 14 luglio 2014. Dall'inviato)




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