PAMPLONA, lug. 2003 (SESTA PUNTATA) - Torniamo a noi. Quella sera Etxia ed io usciamo a mezzanotte. All'encierro del mattino ci si deve preparare con un dritto, niente letto. Ci accompagna una bottiglia di Martini rosso. Mi sta perfettamente nella tasca davanti dei jeans.
Tutti i locali sparano musica a pallettoni, dura prova per l'umano apparato fonoassorbente. Gente dappertutto. Una luce tagliente marca le ombre e illividisce le espressioni. Si balla al ritmo di musiche spagnoleggianti. Confesso: mi fanno cagare. Ricky Martin, roba del genere. Strano, solitamente vanno i classici dance anni '70. Quest'anno, nisba. Ma siamo qui, a Pamplona. Tutti ridono, cantano, ballano. Questi locali stracolmi mi evocano ricordi. Ad esempio Maria, una cantante con un sole tribale tatuato sulla spalla. L'ho conosciuta ad una fiesta di qualche anno fa. Non l'ho più rivista. Più un'epifania, che una storia. Mi pare si chiamasse Castillo, di cognome. O forse Carrillo… Boh.
Etxia è subito in forma. Muove il collo come un telescopio. Un paio di ganze gli entrano nel campo visivo. Sviluppa il suo piano. Per me fa acqua dappertutto, ma lui è convinto. Dunque. Sfruttando la bottiglia di Martini rosso che abbiamo, offre da bere ai maschietti assieme alle ragazze. Vuole farseli amici. E spera che poi - non ho ben capito secondo quale principio - gliele presentino. Naturalmente quelli bevono (il MIO Martini), ma non presentano nessuno. Del resto, solo un mentecatto presenterebbe la propria donna ad un altro, durante i sanfermines.
Lo lascio alle sue strategie da Rommel, con tanto di Martini, e mi avventuro nella giungla etilica a caccia di un supermercato. I ciottoli rettangolari dell'Estafeta sono coperti da sozzura d'ogni tipo: bottiglie, bicchieri di carta, foulard, vomito. Nel marasma, seguo il mio istinto e trovo in fretta il negozio. Compro una bottiglia di Rum Bacardi invecchiato 5 anni. Chiedo una forbice robusta. Faccio saltare il tappo-dosatore sotto gli occhi divertiti del commesso. «Ora posso pagarla», dico. «14 euro», dice. «Cazzo», dico. «Eh, amico, a San Fermin è così», dice. E ride.
Torno da Etxia. Il suo piano ha subìto una variazione. Ora le pollastrelle sembrano un obiettivo sfocato: è seduto sul marciapiede con le gambe rannicchiate sul petto, in anchilosato diapason. Sono i giovanotti spagnoli a passargli da bere. Meglio così, penso. Ma non ha più lo smalto di prima. Appena mi vede sorride. Si alza a fatica e, mezzo barcollante, mi chiama in disparte.
«Cristo, amico, non hai per niente una bella cera», gli dico. Mi fa sì con la testa. Dice che deve vomitare. E sparisce in un vicolo lasciandomi in quel languido trionfo di carni accaldate, in balia di lascive spagnole e musiche calienti. Ricompare verso le cinque, un paio di ore dopo, di nuovo col sorriso acceso. «Dammi un goccio di rum». «Ecco. Vacci piano, poi si corre», replico. «Sei scemo?». «Tu che dici?». «Che sei scemo lo so. Intendevo per la corsa». «Beh, allora sono scemo due volte perché io ho intenzione di correre. E con questi stivali ai piedi. Passo e chiudo».
Quando, verso le sette, cerchiamo un buco alla barrera sulla curva a gomito tra le strade Mercaderes e Estafeta, chiedo a Etxia di tenermi la bottiglia di rum. Meglio, quello che rimane. «Perché?». «Io corro». «Non fare cazzate». Conversazione interrotta. Ci distanziamo; ognuno cerca la postazione migliore. Con gli idranti, gli inservienti puliscono la strada dai pezzi di vetro delle bottiglie rotte. Nel contempo la rendono viscida. Va detto: le barreras sono due. Tra una e l'altra c'è un piccolo corridoio per gli infermieri. Inoltre: se qualcuno che corre in strada comincia a farsela sotto può saltare fuori senza essere impedito dal pubblico trasbordante.
Pochi minuti alle otto.
Un botto.
La via è invasa di persone pronte all'encierro. Uomini, giovani, vecchi, donne. Qualcuno fa stretching, altri si scaldano i muscoli, provano scatti brevi come sportivi pronti ad una gara. Che cazzo, siamo a Pamplona, mica alle Olimpiadi. Un altro botto e la gente corre. La pietra del lastricato inizia a tremare come ci fosse il terremoto. Terremoto forte. Se mi concentro comincio ad avvertire, tra urla e tumulti, il ritmico trepestio dei tori. Ci siamo. Salto sulla barrera, schizzo sulla seconda e mi passano sotto i tori. Salto giù, in strada e inizio a correre appresso agli ultimi che sono passati. Un toro e tre manzi. Un'iniezione di adrenalina. Se si girano, sono lì. Duecento metri, ecco l'arena. I tori incanalati nell'ingresso da un imbuto di uomini immobili, accalcati uno sull'altro.
Stravolto, mi fermo. Torno verso il punto dove ho lasciato Etxia, ma lo vedo arrivare, in strada. «Bello eh?», mi fa. «Già . Meglio andare a dormire. Oggi pomeriggio torea El July».
6. CONTINUA
Pamplona, luglio 2003
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