top of page
Immagine del redattoreMaurilio Barozzi

Caravaggio e O'Connor raccontano il mistero 19/05/2000

Aggiornamento: 14 lug 2023


Mucche a riposo sulla spiaggia di Goa

Anno Duemila. Chiesa e politica contrapposte, un anacronismo? Magari! In questi giorni la cronaca registra due eventi, distanti l’uno dall’altro, che fanno tornare il tema d’attualità. Vediamo. Da una parte il Santo Padre che svela il terzo segreto di Fatima, facendo ancora balenare la scintilla — una sorta di fiammata di ritorno — della lotta tra la chiesa e il comunismo.

Dall’altra, le elezioni amministrative in Trentino Alto Adige con — stando a quanto registrato da entrambi i quotidiani regionali — l’intervento di qualche parroco che offre indicazioni di voto. Evidentemente ascoltato dai fedeli. Però: non è facile, in mezzo a queste due manifestazioni, capire cosa voglia dire essere cristiano oggi, nel Duemila. Soprattutto cosa significa manifestare la propria cristianità, pretendendo il rispetto dovuto e nello stesso tempo garantendolo a chi ha un’idea diversa (l’approdo più alto raggiunto dalla civiltà occidentale). Ho provato a chiedermelo. Da fuori perché — per onestà intellettuale — devo premettere di non essere credente. L’unica risposta che mi viene sta in una parola: Mistero. Il Mistero della nostra esistenza. Questo è il senso alto della riflessione cristiana. La ricerca intima e fiduciosa dell’esistenza di un mondo ultraterreno. Di una Storia più grande. Eppure mi sembra che le più grandi espressioni che ci riconducono a questo siano espressioni che — pur nel loro indiscusso cristianesimo — arrivano da fuori la chiesa.

Qualche giorno fa, tornando da Bergamo dove fino al due di luglio sono esposte in una imperdibile mostra una quindicina di opere giovanili di Caravaggio (La luce nella Pittura Lombarda, Accademia Carrara, Bergamo), mi tormentava il particolare di un quadro: l’espressione di Oloferne, mentre Giuditta gli tagliava la testa. Non il volto di Giuditta — che ha il senso della missione —; né quello della serva con la fronte corrugata, anche lei consapevole del gesto salvifico per la causa dei giudei. Ma quello di Oloferne. Tragicamente svegliato dal sonno in cui versava dalla mano di Giuditta che lo prende per i capelli e dalla lama che gli apre la gola, improvvisamente capisce. La storia fotografata in quella tela ai più è nota, ma vale la pena di ricordarla. Secondo il racconto biblico, Oloferne, generale in capo di Nabucodonosor, re degli Assiri, stava assediando la città giudea di Betulia. Giuditta (che significa Giudea, discendente diretta di Israele) decise di uscire dalla sua città assieme alla serva e recarsi da Oloferne, per ucciderlo «Il Signore per mano mia, porterà aiuto a Israele» (Giuditta 8,33). Questi, ignaro e ingenuo, la accolse nella sua tenda dopo un banchetto alcolico ma, non appena si addormentò «traboccante di vino», Giuditta gli tagliò la testa con una scimitarra. «Dio di Israele - disse mentre lo decapitava - dammi la forza in questo giorno». (Giuditta 13.7). Ecco, in quel preciso momento, Oloferne ha chiaro il senso della sua vita, il Mistero della sua morte. Ciò che è stato e sarà di lui. Un flash, immortalato dal pennello del grandissimo Caravaggio in quella bocca aperta, in quegli occhi solo un po’ sorpresi; piuttosto: consapevoli. Ora Oloferne sa. Ah, la cristianità del Caravaggio! Sublime proprio perché rappresenta il Mistero senza volerlo spiegare, senza far proselitismo. Pura espressione. Arte. A fine Cinquecento. L’altro esempio che mi viene in mente di professione di fede che davvero affascina e seduce proprio perché non vuole farlo, perché non ha lo smaccato obiettivo di farlo, è quello di una scrittrice americana morta nel 1964 a 39 anni dopo aver convissuto per lungo tempo con una malattia incurabile: Flannery O’Connor. Anche lei, utilizzando i propri mezzi artistici — la scrittura —, faceva ciò che aveva fatto il Caravaggio attraverso la pittura. Raccontava storie ordinarie, cogliendone il nitore nel punto tragico che lei individuava essere ″la grazia″ dalla ″colpa″, tipicamente cristiana. Cioè quel momento, unico ed esatto, in cui ognuno capisce qual è il vero destino, coglie la portata del Mistero della nostra esistenza, vede oltre il mondo terreno. Secondo l’insegnamento di Sant’Agostino, la O’Connor riconosce all’uomo la possibilità di scegliere, estrema libertà. Ma c’è un istante, uno solo, in cui ognuno finalmente comprende. Lì si svela il Mistero. Un tragico fortissimo. Una disperazione umana e — evidentemente, vista l’unicità di quel momento e dunque la sua inspiegabilità — anche divina. «Sarebbe stata una brava donna — si rende conto anche il bandito che aveva appena ucciso una vecchia — se ci fosse stato qualcuno a spararle ogni istante della sua vita» (nel racconto: «Un brav’uomo non s’incontra tutti i giorni»). Se l’avessero ammazzata in ogni istante, lei avrebbe sempre saputo. Messe di fronte a profezie utili solo ad alimentare un Mito presente (come ha scritto Sebastiano Vassalli a proposito della rivelazione del Terzo segreto di Fatima) o a indelicate (e anacronistiche) intrusioni politiche di qualche curato di paese, queste espressioni artistiche di cristianesimo mi sembrano gigantesche. E se — come ha ricordato recentemente Roberto Calasso, citando l’Euripide — «è dio riconoscere gli amati»: Caravaggio e la O’Connor avvicinano a dio. Maurilio Barozzi l'Adige, Il Mattino 19 maggio 2000

Comments


bottom of page