Sulla falsariga di Huck Finn e Holden Caulfield, anche “Danci” ha messo in ridicolo alcuni paradossi della nostra società. Ha fatto nascere e crescere il nostro lato rivoluzionario ma poi lo ha lasciato morire in malo modo, prendendosi (e prendendoci) in giro con la graffiante ironia di chi, alla fine, sa di uscire comunque sconfitto.
“Danci” è il protagonista di “Le avventure di Guizzardi” (1972), uno dei primi romanzi di Gianni Celati, scomparso nei giorni scorsi. Un romanzo che narra il picaresco peregrinare di un adolescente scappato di casa, emarginato dalla scuola e dalla società, mezzo idiota e per di più convinto di essere artefice del proprio destino.
Al di là del sempre attualissimo tema trattato - come un giovane senza educazione sia facilmente e inconsapevolmente fagocitato nel folle circo della quotidianità più meschina -, ciò che mi aveva colpito fin da ragazzo di questo libro è la comicità che sgorga dal linguaggio. Ai tempi, con l'amico Gianpaolo leggevamo qualche passo solo per far quattro risate: al registro aulico Celati mischiava a piene mani frasi sconclusionate e una straniante scatologia. Un po' la cifra stilistica che, anni più tardi, hanno usato per la loro narrativa anche autori come Aldo Nove, Paolo Nori o Ugo Cornia.
C'è poi il sarcasmo con cui sferza le nostre abitudini. Esilarante, e alquanto attuale, è il brano in cui Danci - che abbiamo conosciuto come un imbecille - prima ascolta allibito la predica di un folle violinista a base di fregnacce su complotti e zizzanie. Ma poi la ripete a pappagallo al suo amico Piccioli anche se, dice Danci, a lui «risultava un po' difficile per il suo comprendonio». È la storia di tutti i giorni: siamo propensi a considerare gli altri meno svegli, ottusamente ignari che loro penseranno la stessa cosa di noi.
Forse però l'aspetto più sovversivo in un mondo iperproduttivo è il coraggio di lodare la chiacchiera senza costrutto, i “parlamenti buffi”. Scrive Celati nel suo congedo al romanzo: «Lascia che ti prendano per ciò che sei: un libro di recite e sciocchezze, dove il fiato si spreca abbondantemente secondo le necessità del parlare, che è prima di tutto l'arte del fiato perso».
Gianni Celati, “Le avventure di Guizzardi”, Einaudi, 1972.
(10/1/2022)
Maurilio Barozzi
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