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Trentino-Alto Adige: requiem per una regione 06/06/1997

Aggiornamento: 22 lug 2023


Mucche a riposo sulla spiaggia di Goa

Ci stanno lavorando su da sempre, gli strateghi germanofoni sudtirolesi, all’ipotesi di abolire la regione Trentino-Alto Adige. Praticamente da quando è nata, sottoforma di provincia, nel 1923. Ma oggi il progetto è giunto ad una fase cruciale.

La Südtiroler Volkspartei (Svp), per cercare di rimediare alla perdita di voti patita alle elezioni del 21 aprile 1996 (a favore soprattutto dell’Union für Südtirol, partito che mira esclusivamente all’autodeterminazione) e approfittando dell’appoggio garantito al Governo dell’Ulivo, ha deciso di alzare il tiro[1]. E rilanciare il tema dell’autonomia in chiave particolarista, così da cancellare una debacle elettorale che il quotidiano altoatesino in lingua tedesca Dolomiten aveva, neanche troppo velatamente, attribuito alla politica di apertura agli italiani[2].

Durante la recente audizione presso la Commissione bicamerale, il presidente della giunta provinciale di Bolzano, Luis Durnwalder, ha chiesto esplicitamente che la regione Trentino-Alto Adige venga soppressa per dare vita - al suo posto - a due regioni autonome: quella di Bolzano e quella di Trento, che attualmente ricoprono il ruolo di province con «forme e condizioni particolari di autonomia»[3]. «Adesso è giunto il momento di dire qual è la realtà e che le competenze sono delle Province, è giunto il momento di trasformare le due Province autonome in due Regioni autonome quella di Trento e quella di Bolzano. Non ha più senso andare avanti con una Regione che non ha più competenze, che costa molto denaro, ma non ci dà più nulla»[4], ha affermato a Roma Durnwalder. Suscitando anche qualche polemica per il fatto di aver portato in Commissione, in veste di presidente della Giunta provinciale di Bolzano, istanze di partito.

E’ passato solo un giorno e Hubert Frasnelli, capogruppo della Svp in consiglio provinciale, ha presentato una mozione con la quale traduce il nuovo corso del partito improntato all’identità tirolese con l’obiettivo di formare il Bundesland Südtirol (stato federale del Sudtirolo). «E’ arrivato il momento di professare offensivamente il nostro essere tirolesi», aveva sentenziato il segretario politico della Volkspartei, Siegfried Brugger, nel recente congresso di Merano[5]. Dalla “potenza” all’atto: la mozione di Frasnelli impegna la giunta altoatesina in tutte le sedi istituzionali affinché «l’Italia sia trasformata in Stato federale (Bundesstaat)». Alle regioni dovrà essere conferita la condizione di stati autonomi[6]: L’idea prevede poi l’istituzione di un senato delle regioni e la creazione di due enti territoriali distinti: Alto Adige e Trentino in luogo dell’attuale Trentino-Alto Adige. La mozione è stata approvata.

Tuttavia, a chi si stupisce della richiesta di sopprimere l’attuale regione, l’onorevole Karl Zeller, giovane parlamentare della Svp e membro della Commissione bicamerale, risponde in modo molto naturale che questa non è una boutade dell’ultima ora, ma che sono diversi anni che la Svp sta portando avanti la proposta[7]. «E’ un inutile doppione che non produce niente e non giustifica i 450 miliardi che gestisce ogni anno. Così, adesso che si parla di riforma dello Stato ed è stata istituita la Commissione bicamerale, pensiamo di dover concentrare gli sforzi per aumentare la nostra pressione», ha spiegato in un pubblico dibattito sul futuro dell’autonomia svoltosi a Trento. E, per chiarire ulteriormente il concetto, ha sottolineato: «Non c’è nulla da scandalizzarsi, lo abbiamo detto diverse volte: per noi altoatesini la Patria non è l’Italia, ma l’Austria e l’Heimat è il Südtirol»[8].

La proposta della Volkspartei ha subito trovato dei sostenitori anche in altri gruppi politici altoatesini, in particolare quelli che continuano a rivendicare apertamente il diritto all’autodeterminazione. Pius Leitner, leader dei Freiheitlichen[9], dopo aver appreso che il presidente della Giunta altoatesina aveva presentato la proposta alla Commissione bicamerale, ha diffuso un comunicato in cui dichiara di appoggiare in pieno l’intervento di Durnwalder. Dall’altra parte Carlo Andreotti, presidente della Giunta provinciale di Trento, membro del Partito autonomista trentino tirolese e interlocutore privilegiato della Svp per il progetto “Euregio Tirolo”, si è trovato spiazzato e scavalcato. E si è sentito in dovere di controbattere: «Attento, Durnwalder, perché queste fughe in avanti possono compromettere il delicato equilibrio tripolare della Regione, raggiunto dopo 50 anni di autonomia, un trattato internazionale e la soluzione di una controversia Onu», ha dichiarato[10].

In questo momento, diventare una regione autonoma per l’Alto Adige significherebbe solo una cosa: liberarsi di una costruzione parzialmente artificiale messa in piedi dallo Stato allo scopo di frenare le pulsioni mitteleuropee di parte della popolazione altoatesina. Del resto, il collegamento tra le province di Bolzano e di Trento fu mantenuto da sempre, anche da parte tedesca[11], con l’evidente scopo di effettuare una sorta di bilanciamento etnico in una regione di confine. Oggi, dopo la chiusura del pacchetto, alla regione non sono rimasti grandi poteri: recentemente una commissione di costituzionalisti ha giudicato che perfino le leggi elettorali (una delle principali competenze regionali) tra le due province potrebbero essere leggermente difformi[12]. Pertanto - sempre proseguendo su questa base di ragionamento - se la regione non rappresenta particolari potenzialità, lo stesso può dirsi per quanto riguarda i vincoli.

Eliminare l’istituzione regionale rappresenta dunque la volontà di sganciarsi sempre di più dallo Stato nazionale italiano e da tutto quello che lo rappresenta, anche storicamente (la mozione recentemente approvata in Consiglio provinciale di Bolzano parla esplicitamente di «Stato autonomo», da perseguirsi «fatto salvo il diritto all’autodeterminazione»[13]). E poiché, com’è stato notato[14], le frontiere sono sempre meno influenzate dai fattori geofisici (come il passo del Brennero), nell’epoca della globalizzazione dei mercati - paradossalmente - gli elementi più idonei a condizionare le aggregazioni sembrano tornati quelli etnici e linguistici[15]. Così, in Trentino-Alto Adige il confine linguistico, di fatto già situato a Salorno, tenderebbe a rafforzarsi, saldandosi - simbolicamente - con un altro, quello regionale, politicamente più marcato. Una regione confinaria, guidata a grande maggioranza da un partito che come sua finalità ha quella di raccogliere il consenso degli abitanti di lingua tedesca, e che agita costantemente il vessillo dell’autodeterminazione, quale obiettivo potrebbe avere se non quello di riavvicinarsi all’Austria, il mai rinnegato referente?

L’aderenza del progetto sudtirolese allo scenario Kerneuropa


I pericoli insiti nella proposta della Svp, oltre che coinvolgere direttamente l’autonomia del Trentino, rimettendone in discussione il senso, riguardano le relazioni internazionali. Una volta rafforzato, il confine di Salorno diventerebbe una linea che riassume un muro linguistico, culturale e politico (come in un certo senso è già) [16], ma potrebbe diventare anche economico. Infatti, se - come il cancelliere tedesco Helmut Kohl, il suo ministro delle finanze Theo Waigel e il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer hanno messo in evidenza - l’Italia non dovesse entrare a far parte di quel nucleo duro che costituirà la prima fase dell’unione monetaria europea, tra l’Austria e l’Italia si alzerà pure questo nuovo steccato. Con il ricco Alto Adige che potrebbe trovare particolarmente conveniente entrare a far parte dell’Europa in maniera autonoma. Il vero confine - ancorché non materialmente tracciato geograficamente - si sposterebbe dunque a Salorno. E se questa linea viene caricata di significati storici, contraddistinta da divisioni linguistiche, segnata da diversi destini economici, tenderà certamente ad assomigliare più ad una rinnovata cortina di ferro, che ai fili di seta, così cari alla simbologia di Magnago. Risulterebbe allora difficile ipotizzare collaborazioni tra le due aree, ognuna rivolta al proprio centro di interesse.

L’idea è stata più volte sollevata. All’inizio degli anni ‘90, quando l’Europa ha assistito all’indipendenza conquistata dalle repubbliche baltiche, dalla Slovenia e dalla Croazia, molti commentatori hanno individuato in quella strada un’ipotesi praticabile anche per l’Alto Adige. Nell’occasione, l’allora segretario politico della Svp, Roland Riz, smorzò le polemiche con questa dichiarazione: «L’Alto Adige è un’altra cosa rispetto alla Slovenia e alla Croazia. Loro con l’autodeterminazione vogliono agganciarsi allo spazio europeo. Noi vi siamo già dentro»[17]. Oggi però lo scenario europeo che potrebbe delinearsi, con l’Italia fuori dalla prima fase della moneta unica, farebbe piazza pulita del corollario. Offrendo credito all’ipotesi Kerneuropa ed alle pressioni regionali per entrare a farvi parte autonomamente da Roma. Così com’è ipotizzato dal documento steso dall’Accademia delle Scienze di Vienna nell’ottobre del 1995[18]. «Parallelamente alle richieste di maggiore autonomia e di riforma dello Stato da parte delle regioni forti dei paesi deboli, verrebbero “ampliati di fatto i contatti autonomi con l’Unione europea e gli Stati del nucleo”, anche per assicurarsi “l’ancoraggio giuridico delle attività di politica estera”. Le regioni italiane, così come quelle spagnole, potrebbero confidare sul sostegno dei Länder austriaci e tedeschi, “soprattutto della Baviera e del Baden-Württemberg, del Tirolo e di Salisburgo”».[19]

Solo teoria? Allora sembra il caso di ricordare che l’Alto Adige ha sempre intessuto relazioni privilegiate con l’Austria. In particolare, alla fine degli anni Cinquanta, quando gli altoatesini ritenevano di non essere stati sufficientemente garantiti dal primo statuto, ricorsero a due strumenti di pressione nei confronti dello Stato italiano: quello dell’astensionismo degli assessori della Volkspartei dalla Giunta regionale (poi pure dei consiglieri). In secondo luogo - molto più efficacemente -, approfittando delle potenzialità offerte dal patto Degasperi-Gruber, si rivolsero immediatamente a Vienna per ottenere una rappresentanza (che ottennero) presso l’Onu, sfociata in una controversia internazionale tra Austria ed Italia che si è conclusa solamente nel 1992, con la cosiddetta quietanza liberatoria[20]. In verità, tra gli strumenti di pressione nei confronti dell’Italia ve ne fu un terzo, attuato dalle frange più estremiste: quello del terrorismo che comportò - come scrive Giuseppe Mammarella - «il netto deterioramento dei rapporti italo austriaci»[21], ma non tra l’Austria ed il Sudtirolo, se è vero che alcuni terroristi, condannati in Italia, continuarono a svolgere una vita regolare oltrebrennero. Per quanto riguarda poi i contatti autonomi che l’Alto Adige potrebbe sviluppare con l’Unione europea, citati testualmente nel rapporto dell’Accademia delle Scienze di Vienna, essi sono già stati messi formalmente in atto con la creazione, nel 1995, dell’ufficio di rappresentanza europeo dell’Euroregione Tirolo, a Bruxelles. E non è un caso che tale iniziativa sia stata criticata dall’allora ministro degli esteri italiano, Susanna Agnelli.

Quello chiamato Kerneuropa, con l’Alto Adige che cercherebbe di farne parte, sembra (potrebbe essere) uno scenario apocalittico, ma le accelerazioni che il presidente della Giunta provinciale di Bolzano - nonché esponente di primo piano della Svp -, Luis Durnwalder, sta imprimendo al processo di smantellamento della regione (in aperto contrasto con i militanti del Patt, suoi alleati trentini nel disegno di una regione transfrontaliera) non possono che mettere in guardia sulle finalità di questa proposta. Inoltre, la capacità di scambio politico che la Volkspartei possiede oggi verso il Governo nell’ambito dei mutamenti strutturali in atto (la Bicamerale in Italia che dovrebbe modificare la seconda parte della Costituzione e l’ordinamento dello Stato, l’avvicinarsi della fatidica data della moneta unica europea) rende ancor più delicato il momento storico. Tali pressioni sembrano andare nel senso già indicato nel 1991 dal libro Tiroler Einheit, jetzt! (Unità del Tirolo, ora!) scritto da Franz Pahl - oggi vicepresidente della Regione, ed esponente della destra della Svp - nel quale si teorizza esplicitamente la riunione dell’Alto Adige con il Tirolo austriaco.

Una prospettiva fortemente rivolta all’autodeterminazione (per non dire secessionista) - implicitamente - potrebbe alla lunga fare gioco alla Germania. Soprattutto in un’ipotesi di Europa rigida con tanto di nocciolo duro franco-tedesco e l’Italia esclusa, così come proposto già nel documento Schäuble-Lamers, presentato dalla Cdu-Csu al parlamento germanico nel settembre 1994[22]. I tedeschi, in questo scenario, aumenterebbero l’area ad essi assimilabile (per lingua e per cultura) e ciò permetterebbe loro di garantirsi un maggior peso contrattuale nei confronti della Francia alla guida della politica europea. Infatti, proprio il documento Schäuble-Lamers parla testualmente di due gruppi di sviluppo all’interno dell’Europa, «un gruppo Sud-Ovest, più incline al protezionismo e diretto in un certo senso dalla Francia, e un gruppo Nord-Est favorevole al libero scambio a livello mondiale e diretto in un certo senso dalla Germania». Inoltre, con l’Alto Adige autodeterminato e una politica europea fortemente orientata ad est, si potrebbe rinnovare quell’appello «alla solidarietà tra tutte le minoranze di lingua tedesca in un possente movimento irredentista, dai Sudeti all’Alto Adige», come vagheggiava anche il socialdemocratico Wenzel Jacksch nel libro Der Weg nach Potsdam (1958)[23].

Se a ciò si aggiunge che Jörge Haider (che fino qualche tempo fa non faceva mistero delle sue tendenze pangermaniste)[24], con un programma etnonazionalista, sta guadagnando diversi consensi in Austria - e particolarmente nel Tirolo - il disegno assume contorni in qualche modo definibili. E non tranquillizzanti. Del resto la storia corre molto veloce e spesso gli avvenimenti subiscono accelerazioni che li rendono poi irrimediabili.

Le radici della regione


Così, con gli analisti americani che si stanno occupando quasi a tempo pieno nello studio del formarsi di una nuova estrema destra europea[25] contraddistinta da venature xenofobe e i giornali stranieri che parlano del Sudtirolo cercandone analogie con l’ex Jugoslavia,[26] il dibattito sulla salvaguardia della regione Trentino-Alto Adige potrebbe dover prescindere dalle convenienze economiche, richiamate da Durnwalder e Zeller. In effetti, già la configurazione geografica (il confine del Brennero) data al Sudtirolo dai due trattati di pace è nata segnata da evidenti interessi geopolitici e strategici. Per commentare gli accordi di S. Germain-en-Laye che nel 1919, al termine della Prima guerra mondiale, stabilirono il confine tra Italia e Austria sul Brennero, Mario Toscano scrisse: «Va rilevato che, contrariamente a quanto accadeva in altre zone dell’Europa, questa eccezione al principio etnico [..] era effettivamente dettata da ragioni di sicurezza che nessun governo preoccupato degli interessi del paese avrebbe potuto trascurare»[27]. E che tale confine prescindesse dagli interessi economici delle popolazioni residenti risulta ancora più evidente dalla sua conferma, nel 1946, con i due stati in questione (Italia e Austria) lasciati completamente ai margini della discussione. «Questo territorio (l’Alto Adige, ndr) potrebbe essere usato per rafforzare l’Austria se, nel rafforzare l’Austria, noi non facessimo altro che rafforzare la Germania. Se l’Anschluss non avesse luogo, l’Austria dovrebbe essere rafforzata, ma in caso diverso non dovremo permettere che il suo confine scendesse a sud del Brennero»,[28] faceva presente già nel 1943 Adolf Berle, assistente del Segretario di Stato statunitense, ai colleghi di lavoro in una riunione della Commissione consultiva per la politica estera postbellica del Dipartimento di Stato Americano. Offrendo così la dimensione di quali sarebbero stati i criteri per tracciare, di lì a qualche anno, le nuove frontiere. Terminata la guerra, durante la conferenza di pace, a determinare definitivamente l’assetto confinario fu la posizione intransigente del ministro degli esteri russo, Molotov, secondo il quale l’Austria - per l’importante ruolo svolto a fianco del Reich durante la Seconda guerra mondiale - non doveva ottenere alcuna gratificazione[29]. Anzi, secondo lui non avrebbe nemmeno dovuto comparire a Parigi. Dopo sei sedute del Consiglio dei ministri degli esteri delle quattro grandi potenze e otto incontri tra i loro sostituti, il 24 giugno 1946 la questione italo austriaca fu chiusa con la conferma del confine al passo del Brennero. «L’idea del ristabilimento dell’indipendenza austriaca era nata quindi come corollario della necessità di diminuire la consistenza territoriale e la forza della Germania per evitare una nuova revanche dopo quella hitleriana. Lo stesso era del resto avvenuto nel 1919, quando i quattro grandi di allora avevano deciso l’indipendenza dell’Austria per soddisfare l’interesse della Francia e dell’Italia di non ingrandire la Germania sconfitta». [30]

In questo quadro si colloca il famoso accordo di Parigi, meglio noto come patto Degasperi-Gruber, tra i due ministri degli esteri italiano ed austriaco. Pur non riuscendo ad incidere (ufficialmente)[31] sul posizionamento del confine, Italia ed Austria stesero un documento per garantire agli «abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento [..] completa eguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana»[32]. In tale trattato «erano regolati gli aspetti internazionali e interni italiani, della questione altoatesina, fondati questi ultimi sulla concessione di una larga autonomia, che fornisse garanzia alla minoranza tedesca, secondo un modello già elaborato dal governo Parri, l’anno precedente, per la Valle d’Aosta».[33] Ma, in particolare, «l’accordo Degasperi-Gruber portò alla creazione di una regione a statuto speciale, il Trentino-Alto Adige, con poteri speciali».[34] Così, da una parte l’accordo offriva alle minoranze germanofone una rilevanza internazionale alla propria questione,[35] da cui presero le mosse le trattative italo austriache che, dal 1956 al 1992, portarono alla definizione di una serie di misure di tutela definite «Pacchetto». Dall’altra però - anche a causa di una formula piuttosto ambigua del testo[36] - il patto consentiva allo Stato italiano di confermare l’autonomia territoriale anche all’area trentina, seguendo l’indirizzo politico adottato dal Governo già nel 1919: conservare una certa autonomia alle «nuove province» che prima della Grande guerra facevano parte dell’Impero austroungarico[37]. Ciò fu attuato attraverso la costituzione della regione autonoma Trentino-Alto Adige[38]. Ma il processo non è mai stato accettato dai tedeschi sudtirolesi.

Hanno dunque radici profonde le polemiche sull’ente regionale. E, ciclicamente, la Svp le ripropone. «L’accordo di Parigi è stato fatto per dare autonomia a Bolzano, non alla regione: noi abbiamo subìto l’ente regionale, non lo abbiamo mai voluto», ha ribadito recentemente Zeller[39]. Dopo l’approvazione del secondo statuto di autonomia, nel gennaio 1972, e con la chiusura del pacchetto - eventi che hanno fatto seguito alle continue pressioni politiche della Volkspartei - la regione ha effettivamente perso molte delle funzioni che gli erano originariamente assegnate. Permettendo che si verificasse quanto da sempre auspicavano gli abitanti di lingua tedesca dell’Alto Adige: il trasferimento della maggior parte dei poteri alle due province autonome di Trento e Bolzano.

Ora, dopo averne sostanzialmente ottenuto lo svuotamento delle competenze, la Svp torna a chiedere la soppressione della regione, dimostrandola inutile. Tuttavia, fa notare il professor Roberto Toniatti, un giurista che non può certo essere etichettato come nazionalista[40], «per quanto inutile possa essere in ordine ai propri compiti istituzionali, non si può sostenere che l’esistenza della Regione limiti, in nulla e per nulla, l’autonomia della Provincia di Bolzano». Tanto più che anche le leggi regionali attualmente «vengono già confezionate in modo differenziato con riguardo ai due ambiti provinciali»[41]. Pertanto, appurato che di fatto l’autonomia della provincia altoatesina, dunque il senso degli accordi Degasperi-Gruber, non è alterato dalla regione, ad essa può essere assegnata una funzione prevalentemente geopolitica: quella di baluardo contro l’autodeterminazione attraverso il bilanciamento etnico. Se fosse smantellata, in Sudtirolo «la minoranza diventerebbe quella italiana. [..] A quel punto l’Alto Adige diventa uno Stato. E che fine fanno gli italiani?»[42], si è chiesto anche Carlo Andreotti, presidente della giunta provinciale di Trento e propositore dell’Euregio Tirolo.

Conclusioni


Sul tappeto rimane la legittima proposta della Svp - la soppressione di una regione ritenuta inutile, antieconomica e percepita esclusivamente come giogo per la popolazione altoatesina di lingua tedesca - cui la classe politica trentina (e romana) non può rispondere con un generico rifiuto, seppur basato sul primato dell’ordine internazionale. La storia ha fatto giustizia dei gioghi sui popoli. Urge definire al più presto un ruolo per la regione Trentino-Alto Adige: un interesse comune, molto concreto, che stimoli le due province a muoversi assieme.

A tutt’oggi l’Alto Adige pare aver modellato al meglio i propri obiettivi, mettendo in primo piano l’identità culturale e linguistica in una prospettiva mitteleuropea. La Volkspartei, ormai da anni, per massimizzare i vantaggi che può ottenere politicamente, adotta la tattica della trattativa illimitata: aprire più tavoli possibile di confronto, sui quali mettere in campo la propria forza che gli deriva dall’essere il partito di raccolta di una minoranza, garantita internazionalmente e costretta controvoglia in uno Stato ritenuto straniero. E soprattutto dalla possibilità di minacciare l’autodeterminazione, minaccia tanto più forte quanto più credibile.

Viceversa il Trentino si trova nella condizione di rincorrere l’Alto Adige per non rischiare di perdere il suo ancoraggio all’autonomia speciale (e, dunque, anche a cinquemila miliardi annui di trasferimenti statali). Per ora il Trentino gode dell’appoggio di Roma che, in un’ottica di ragion di Stato nel contesto dei rapporti internazionali, tende a raffreddare tutte le spinte centrifughe e secessioniste. Ma se dovesse permanere questa vaghezza del ruolo regionale, potrebbe legittimamente prendere quota il ragionamento che alcuni intellettuali stanno proponendo e cioè quello di concedere l’autodeterminazione[43]. Il Trentino si troverebbe impietosamente messo di fronte alla scarsa capacità di definire i propri interessi geopolitici (ed economici). Al momento, l’ipotesi di rappresentare una zona di raccordo tra l’area germanica e quella del nord est italiano è l’unica spendibile per giustificare la regione e contrapporre con chiarezza il principio della cittadinanza all’etnofederalismo. Sfruttando così al meglio la caratteristica geografica che le consente di essere ancorata culturalmente a nord, e nel contempo costituire l’unico sbocco del mondo germanico verso sud, in quanto rappresenta - come amava ricordare Cesare Battisti - un imbuto con un unico passaggio a nord ma con «otto porte verso l’Italia».

Al contrario, se la classe politica di lingua italiana non riuscirà ad identificare un preciso interesse comune per le due province, l’assetto regionale Trentino-Alto Adige non sopravvivrà a lungo agli attacchi che subisce. E il confine del Brennero pure.

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NOTE


[1] Subito dopo le elezioni, Luis Durnwalder aveva dichiarato al Mattino dell’Alto Adige (23 aprile 1996): «Sono sicuro che l’Ulivo manterrà quello che ha promesso. Sono anche convinto che riuscirà formare il Governo e, dato che c’è una piccola maggioranza, sono certo che avranno bisogno dei nostri voti».

[2] Dolomiten, 23 aprile 1996.

[3] Così stabilisce l’articolo 3 dello Statuto di autonomia del Trentino Alto Adige.

[4] Verbale dell’audizione alla Bicamerale, martedì 4 marzo 1997.

[5] Il Mattino dell’Alto Adige, 24 novembre 1996.

[6] La terminologia si rifà a quella utilizzata dai regionalisti nella Charta Gentium et Regionum (Programma di Brno) pubblicata su liMes 1/97.

[7] Nel gennaio 1996 lui stesso, assieme al collega di partito Siegfried Brugger, ha presentato in parlamento una proposta di legge di revisione costituzionale della forma di stato e di governo che prevede l’abolizione della regione Trentino-Alto Adige.

[8] Pubblico dibattito «Riforma dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige». Trento, 18 aprile 1997.

[9] Un partito di destra etnonazionalista altoatesino, omonimo (e omologo) di quello austriaco guidato da Jörg Haider.

[10] Il Mattino dell’Alto Adige, 6 marzo 1997.

[11] Già ai tempi della Dieta Tirolese l’autonomia che i trentini chiedevano, non veniva concessa: i delegati di lingua tedesca «non intendevano rompere l’unità del paese». Mario TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Laterza 1968, Bari. P. 4. Cfr. anche gli atti della Dieta Popolare Tedesca svolatasi a Vipiteno il 12 maggio 1918. All’art. 5 è rivendicata testualmente la «Unità ed indivisibilità del Tirolo da Kufstein sino alla Chiusa di Verona: decisissimo rifiuto di ogni autonomia della parte meridionale del territorio, cioè al così detto “Tirolo Italiano”».

[12] Una commissione di costituzionalisti, presieduta dal professor Livio Paladin, incaricata dalla Giunta regionale di studiare le potenzialità consentite dallo Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige in relazione ai sistemi elettorali, ha confermato la possibilità di adottare due diverse modalità di voto per Trento e per Bolzano.

[13] Mozione del Consiglio provinciale di Bolzano n. 246/96, approvata nella seduta del 5 marzo 1997.

[14] Raymond ARON, Pace e guerra tra le nazioni, Comunità 1970, Milano. Pp. 239-253.

[15] Il richiamo più noto è quello dell’Antico Testamento, in cui gli uomini di Galaad si distinguevano dai fuggiaschi di Efraim in base alla capacità di pronunciare il termine Shibbolet. Cfr. Giudici 12, 6.

[16] Cfr. Maurilio BAROZZI, «L’Alto Adige tra voto nero e voto etnico» in liMes 4/94.

[17] Bruno LUVERÀ, Oltre il confine, Il Mulino 1996, Bologna. P. 41.

[18] Cfr. Bruno LUVERÀ, «L’internazionale regionalista tra maschera e volto», in liMes 3/96.

[19] Ibidem, p. 36.

[20] Nel giugno del 1992 l’Austria ha dichiarato attuato il pacchetto di norme di salvaguardia della minoranza germanofona residente in Alto Adige. Si tratta di 137 provvedimenti normativi che hanno consentito all’Italia di ottenere da Vienna la cosiddetta quietanza liberatoria dopo la controversia internazionale (1956).

[21] Giuseppe MAMMARELLA, Storia d’Europa dal 1945 ad oggi, Laterza 1992, Bari. P. 320. Su questo capitolo è però opportuno ricordare come il terrorismo altoatesino possa in parte essere stato strumentalizzato per creare instabilità anche da parte dei servizi segreti (italiani e francesi). A tal proposito sono illuminanti le dichiarazioni rilasciate dal colonnello Amos Spiazzi. Cfr. Sergio ZAVOLI, La notte della Repubblica, Mondadori 1992, Milano. Pp. 149-150.

[22] Il documento della Cdu tedesca ipotizzerebbe pure uno sviluppo istituzionale dell’Unione, con «la realizzazione del principio di sussidiarietà che include anche un nuovo trasferimento di competenze ai livelli inferiori». Cfr. «Il Documento Schäuble» in Il Mulino/Europa 2/1994. P.75.

[23] Cfr. Enzo COLLOTTI, Storia delle due Germanie 1945-1968, Einaudi 1968, Torino. Pp. 646-647.

[24] Piero IGNAZI, L’estrema destra in Europa, Il Mulino 1994, Bologna. Pp. 127-139. Anche: Roland PFEFFERKORN (Professore ordinario di Scienze sociali all’Università delle scienze umane di Strasburgo) «Jörg Haider seduce gli intellettuali» in Le monde Diplomatique/Il Manifesto, 12 febbraio 1997.

[25] Cfr. Alberto CAVALLARI, «Europa sindrome Weimar» in La Repubblica, 15 febbraio 1997.

[26] Si veda, a titolo di esempio, l’articolo The hills are alive to the sound of linguistic squabbling, pubblicato sull’Independent on Sunday dell’1 dicembre 1996.

[27] Mario TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, op. cit. P. 59.

[28] Verbale della riunione del 9 gennaio 1943 della Commissione consultiva per la politica estera postbellica del Dipartimento di Stato Americano.

[29] Per quanto riguarda la volontà sovietica di lasciare l’Alto Adige all’Italia, giocava la prossima definizione che si sarebbe dovuta dare della questione confinaria italo-jugoslava. Per il Cremlino quest’ultima frontiera rappresentava un obiettivo ben più importante, dunque non sarebbe stato tatticamente opportuno cominciare le trattative con una penalizzazione all’Italia.

[30] Cfr. Pietro PASTORELLI, «La questione del confine italo-austriaco alla Conferenza di pace», in AA.VV., L’Accordo di Parigi, Regione Trentino-Alto Adige 1976, Trento. P. 106.

[31] Va comunque tenuta presente la pressante attività diplomatica portata avanti parallelamente alla conferenza. I documenti americani, ad esempio, riportano una lettera che Alcide Degasperi scrisse al Presidente statunitense Harry S. Truman nella quale si dice: «L’attuale frontiera con l’Austria corrisponde al confine geografico e naturale tra Italiani e tedeschi. L’Italia democratica ha già deciso di concedere il trattamento più giusto e l’autonomia più ragionevole alla minoranza che vive nel suo territorio. Perché solo l’Italia dovrebbe essere costretta a fare sacrifici territoriali mentre tutti gli altri paesi interessati stanno prendendo le precauzioni più severe contro la rinascita di una minaccia tedesca?». Oppure ancora, l’allora ambasciatore italiano negli Stati Uniti, Alberto Tarchiani, lasciò il 31 agosto del 1945 al presidente americano Truman un promemoria (evidentemente finalizzato a convincerlo sull’opportunità di lasciare il confine al Brennero) che diceva: «In questi giorni l’Italia sta predisponendo misure legislative che daranno alle minoranze tedesche che vivono con gli italiani in Alto Adige l’autonomia più larga e garantita applicando anche in questa regione al massimo grado tutti i principi democratici di libertà individuali e collettive». Pietro PASTORELLI, «La questione del confine italo-austriaco ...» in AA.VV., L’Accordo di Parigi, op.cit. Pp. 128 e 111.

[32] Art. 1 del Trattato Degasperi-Gruber, Parigi 5 settembre 1946.

[33] Ernesto RAGIONIERI, «L’Italia alla fine della seconda guerra mondiale», in Storia d’Italia Einaudi, «Dall’Unità a oggi», p. 2449.

[34] Cfr. Ennio DI NOLFO, Storia delle Relazioni internazionali 1918-1992, Laterza 1994, Bari. P. 665

[35] «L’unico caso di tutela di questo genere rimasto in opera dopo le vicende della seconda guerra mondiale era quello della minoranza svedese delle isole Aaland, il cui status è tuttora garantito dal trattato stipulato tra Finlandia e Svezia nel 1921». Alessandro PIZZORUSSO, «Aspetti dell’efficacia giuridica dell’Accordo Degasperi-Gruber» in AA.VV., L’Accordo di Parigi, op. cit. P. 142.

[36] Recita l’articolo 2 del Trattato Degasperi-Gruber: «Alle popolazioni delle zone sopraddette (provincia di Bolzano e vicini comuni bilingui della provincia di Trento, ndr) sarà concesso l’esercizio di un potere legislativo ed esecutivo autonomo, nell’ambito delle zone stesse. Il quadro nel quale detta autonomia sarà applicata sarà determinato, consultando anche elementi locali rappresentanti la popolazione di lingua tedesca». In base a questo testo, gli abitanti di lingua tedesca dell’Alto Adige pretendevano di trasformare la provincia di Bolzano nella Regione Südtirol; mentre quelli trentini sostenevano che il quadro di cui si parla nell’articolo 2 (frame, nel testo originale inglese) sottendesse l’interpretazione di un doppio livello di autonomia, quello provinciale e quello regionale.

[37] «Nel caso particolare il riconoscimento di questa autonomia si inquadrò in un indirizzo politico ricollegantesi a quello che era stato adottato dal Governo italiano all’indomani della stipulazione del trattato di pace del 1919 e che era stato poi rovesciato dopo l’avvento del fascismo. [..] L’indirizzo politico adottato dal Governo italiano nel 1919 era infatti favorevole alla conservazione delle autonomie di cui le “nuove province” godevano nell’ambito dell’Impero austroungarico». Alessandro PIZZORUSSO, «Aspetti dell’efficacia giuridica dell’Accordo Degasperi-Gruber» in AA.VV., L’Accordo di Parigi, op. cit. Pp. 144-145. Per quanto riguarda la considerazione storica del Trentino-Alto Adige come unica entità geografica, seppur di lingua diversa, essa era già ribadita dai documenti di matrice austriaca. Cfr. M. TOSCANO, op. cit. Pp. 1-60.

[38] «Dopo lunghe e faticose trattative, alla fine delle quali diedero la loro formale approvazione anche i rappresentanti ufficiali della S.V.P., la Costituente votò il 31 gennaio 1948 lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige che fu promulgato con Legge Costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5». Umberto CORSINI, «Uno statuto speciale per chi e perché», in AA.VV., Trentino da ricordare 1948-1978, Manfrini 1978, Trento. P. 18.

[39] Trento, 18 aprile 1997, pubblico dibattito sullo Statuto di autonomia, cit.

[40] E’ uno degli estensori dello statuto dell’Euregio Tirolo.

[41] L’Adige, 16 marzo 1997.

[42] Il Mattino dell’Alto Adige, 8 marzo 1997.

[43] Come ha detto Saverio Vertone in un’intervista al Mattino dell’Alto Adige il 10 marzo 1997: «Il fatto è che non possiamo più pregare i tedeschi di rimanere con noi, pagandoli oro, se non ci vogliono rimanere. [..] Se vogliono andare via che vadano. Non prenderanno più i 5 mila miliardi, ma saranno più felici. [..] Se dovessero staccarsi dall’Italia, chiederemo una garanzia per quegli italiani che resteranno in Alto Adige e i soldi andranno a loro».

Maurilio Barozzi in “LiMes. Rivista Italiana di Geopolitica” 2/97 Euro o non Euro. Pp. 97-106.


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