Di Charles Bukowski si conoscono principalmente i superbi racconti: realisti, sfrontati, a volte commoventi. A raccontare in modo mirabile ciò che accade nel corso di una vita è però secondo me una delle sue poesie: Gioco di specchi.
La poesia narra di un certo Peter che da ragazzino aveva tutte le caratteristiche per essere preso per i fondelli e bullizzato. «Peter era un mostro. Peter era grasso. Peter era scemo. Peter era goffo. Peter balbettava e Peter inciampava e le ragazze ridevano di Peter e i ragazzi lo punzecchiavano, e Peter era costretto a restare a scuola dopo le lezioni e a Peter cadevano gli occhiali e aveva le scarpe slacciate e la camicia di fuori e vestiva come non s'era mai visto e Peter sedeva sempre nell'ultimo banco con il moccio che gli colava dal naso» scrive Bukowski, riferendosi agli anni delle elementari e le scuole medie. Ma poi, col passare del tempo le cose quasi sempre cambiano. E il destino di ciascuno di noi s'incarica di produrre le variazioni più sfacciate e inattese. Con il suo occhio cinico e clinico, Bukowski ne registra il gioco di specchi che muta radicalmente le prospettive per i bulli e i bullizzati, per i cosiddetti fighi e quelli che a loro giudizio erano degli sfigati. Nulla è ingessato e nulla è eterno, ci racconta Bukowski, quasi un ammonimento a non lasciarsi prendere la mano dai frettolosi (e temporanei) giudizi, se non fosse proverbiale la sua avversità agli ammonimenti. Comunque sia, Bukowski nella seconda parte della poesia ci ripresenta Peter qualche anno dopo. «Adesso Peter cambia ogni anno la sua fuoriserie e ha sempre una ragazza nuova e graziosa e non porta più gli occhiali ed è dimagrito, sembra quasi bello comunque certo sicuro di sé, ha una casa in Messico e una a Hollywood», lo rivede oggi Bukowski. «Chi lo conosceva allora non lo conosce adesso. É successo qualcosa, che diavolo è stato? E la maggior parte dei fighi di allora che ancora si vedono in giro sono deformi, sconfitti, ingloriosi, idioti, senzacasa, senili o moribondi. Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai».
Charles Bukowski, Quando eravamo giovani, Feltrinelli 1999.
(L'Adige 6/6/2022)
Maurilio Barozzi
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