top of page

L'Alto Adige tra voto 'nero' e voto 'etnico' 05/10/1994

Aggiornamento: 22 lug 2023


Mucche a riposo sulla spiaggia di Goa

Il terremoto che ha investito l'Italia politica nelle recenti elezioni ha sancito un dato oggettivo: gli italiani, se costretti a scegliere tra destra e sinistra, preferiscono la destra. Una destra forse diversa da quella classica, una destra che si è rifatta il trucco, ma pur sempre una forza politicamente conservatrice e tradizionalista.

Quello che potrebbe stupire è come un polo conservatore, moderato, tradizionale, riesca ad avvantaggiarsi e ad imporsi proprio nel momento in cui la società cerca il cosiddetto "nuovo". Nelle elezioni amministrative di novembre dicembre '93 il Msi è diventato il primo partito a Roma e a Napoli puntando la sua campagna elettorale sulla sua estraneità dal sistema politico che veniva identificato con Tangentopoli. Dunque la dimensione su cui ha fatto leva non era quella classica «destra» vs. «sinistra», ma piuttosto quella riconoscibile nella coppia concettuale «nuovo» vs. «vecchio». Il Msi si è mostrato come quello che la gente voleva: il nuovo. Nessun discorso sul programma o sulle politiche specifiche avrebbe ottenuto il successo che invece ha ottenuto toccare questo tasto. Poi i ballottaggi hanno visto le coalizioni progressiste vittoriose, ma il messaggio era stato lanciato: in questo preciso momento storico la discriminante elettorale non è giocata dall'asse politico classico ma da quello innovativo. E difatti proprio facendo leva principalmente su questo asse Silvio Berlusconi ha costruito in pochi mesi il suo ingresso in politica: un uomo nuovo che con i suoi propositi liberisti è riuscito a raccogliere i consensi di tutte quelle persone che vivono con sofferenza, irritazione e molta stanchezza l'intervento (inefficiente) dello stato e della partitocrazia in moltissimi aspetti della vita quotidiana.

Sembra alquanto difficile sostenere che Forza Italia abbia ottenuto il successo elettorale alle elezioni di marzo sulla base del programma politico (che, secondo i canoni classici sarebbe etichettabile come «di destra»), visto che esso era definito solamente nella garanzia degli interessi di una limitata cerchia di individui secondo la teoria olsoniana dei «gruppi di interesse». E ancora più difficile appare ritenere che sia stata la proposta politica a favorire Forza Italia dopo aver visto che, nonostante delle alleanze politicamente discutibili (come possono stare al governo assieme gli ex missini, sostenitori dello stato accentrato, ed i federalisti della Lega Nord?), nella prova d'appello delle europee di giugno, l'elettorato ha premiato ulteriormente questo gruppo.

Dunque lo spazio elettorale - secondo l'analisi di Luca Ricolfi - non può essere considerato unidimensionale, ma multidimensionale. E sarà riempito a seconda della dimensione che i votanti in quel preciso momento percepiscono come la più importante.

Secondo questo approccio può essere studiato anche il caso politico dell'Alto Adige. In questa zona, l'identificazione degli interessi (intesi soprattutto come bisogni) privilegia la dimensione linguistica rispetto a quella più tradizionalmente politica, cioè quella identificabile nella coppia concettuale «destra» vs. «sinistra». E questo superamento da parte dell'asse linguistico ai danni di quello «sinistra-destra» è percepibile - com'è ovvio - in particolar modo se l'appuntamento elettorale è locale, dunque intimamente connesso con il territorio e con le tensioni che esso talvolta (spesso!) produce.


In Alto Adige sono infatti presenti tre gruppi linguistici diversi e la volontà di garantire ad ognuno di essi la propria dignità ha prodotto uno speciale Statuto di autonomia. In questo contesto, anche se le ultime due scadenze elettorali ne hanno leggermente ridimensionato la misura, da circa un decennio il Msi (oggi Alleanza nazionale) ricopre un ruolo fondamentale nelle zone altoatesine ed in particolare a Bolzano, il capoluogo della provincia dell'Alto Adige. Tale ruolo (ed i risultati elettorali ad esso connessi) è legato ad una politica strettamente concentrata sul territorio: una politica geografica, altoatesina, con le sue parole d'ordine ed i suoi temi dominanti.

E proprio in relazione alla multidimensionalità della politica, non sembra un caso che le flessioni (comprese le recenti) del Msi siano registrate in concomitanza di scadenze nazionali (le politiche) o europee (nel 1989, ad esempio, nel giro di pochi mesi i consensi missini a Bolzano sono diminuiti dal 27,1 delle comunali di maggio al 17,48 delle europee di giugno!), scadenze percepite come molto più "distanti".


Il quadro di riferimento.

Dunque le caratteristiche etnico-linguistiche dei gruppi presenti nella provincia di Bolzano sono il principale argomento di confronto delle politiche portate avanti dai partiti della zona nel dibattito quotidiano. Tra S. Michele all'Adige e Salorno, salendo da sud rispettivamente l'ultimo comune del Trentino ed il primo dell'Alto Adige, ci saranno una decina di chilometri, entrambi i paesi fanno parte del medesimo stato nazionale e della stessa regione, ma - a livello politico - mostrano delle differenze macroscopiche. Tensioni diverse, esigenze diverse, aspettative diverse, partiti diversi, slogan diversi. E la situazione si ripropone, e diventa paradigma, tra Bolzano e Trento, i due capoluoghi di provincia.

Trento, pur con qualche ovvia peculiarità, riflette le tematiche politiche del resto dell'Italia, è angosciata dai temi di politica nazionale come può esserlo Verona o Bari, e gli elettori si contano e si organizzano politicamente secondo i simboli classici (eccezion fatta per il locale partito autonomista, la cui presenza comunque, a mio avviso, non definitivamente il quadro). Per Bolzano la situazione cambia radicalmente. A Bolzano, a fianco dei simboli tradizionali, sono schierati numerosi "partiti peculiari" che - già nel nome - individuano la loro matrice di stampo etnico-linguistico. La Südtiroler Volkspartei, Ladins, Die Freiheitlichen, Union für Südtirol, che ha preso il posto del Südtiroler Heimatbund sono esempi concreti di un modello di partito che ho definito "peculiare" e che esplicita il principale obiettivo politico e quelle che saranno le caratteristiche su cui farà leva per acquisire consensi già nel nome. Tra questi il principale, il più consistente, è la Südtiroler Volkspartei (Svp), un partito che si è distinto per aver sempre considerato l'autonomia dell'Alto-Adige come il suo fine ultimo. Inizialmente con un'ottica autodeterministica, sulla base del motto "Los von Trient", via da Trento, coniato sul modello dell'irredentista "Los von Innsbruck" al raduno della Svp il 17 novembre del 1957 a Castel Firmiano. In seguito in modo più moderato grazie all'azione del suo uomo-simbolo Silvius Magnago che, tra il 22 ed il 23 novembre del 1969, a notte inoltrata, riuscì a fare approvare al congresso (seppur con uno scarto minimo di voti, circa il 52%) il «Pacchetto», termine con il quale si indica il nucleo di norme e misure specifiche dell'autonomia altoatesina. Da allora la Svp ha man mano sempre aumentato il suo gradimento per l'autonomia "dentro l'Italia", portando i favorevoli al «Pacchetto» dal 52% del 1969 all'82% circa degli iscritti del '92.

La peculiarità geopolitica dell'Alto Adige si può anche vedere in un'analisi più raffinata. Molti dei partiti classici - denominati così come li conosciamo tradizionalmente - con particolare senso della duttilità, si adeguano ai temi che fanno maggiormante presa su cittadini abitanti della zona in questione. E questo fatto è evidente soprattutto se l'appuntamento è locale nel momento in cui i partiti politici sono impegnati nella fase organizzativa di una scadenza elettorale: il reclutamento avviene all'interno di una cerchia di individui che - per la quasi totalità - abitano la zona e dunque sono esposti costantemente ai temi dominanti della quotidianità. Inoltre questo adeguamento è perspicuo anche nella fase di trasmissione della domanda politica della cittadinanza (le istanze comuni): un partito che non è in grado di farsi portatore dei bisogni e delle necessità della popolazione che si candida a rappresentare si chiama - implicitamente - fuori, a meno che non sia guidato da un'élite così autorevole da riuscire a creare lei stessa dei valori aggreganti.

L'internazionale diffondersi delle esigenze territoriali, che in questi ultimi anni ha acquisito sempre maggiore peso, ha causato, anche in Alto Adige, una politica che privilegia sempre più le forme di conflitto orientate - weberianamente - in particolar modo all'azione dell'altro. Ciò si rivela potentemente oggi, nella società post-industriale, la quale - parafrasando Touraine - è sempre più caratterizzata dal fatto di essere modellata e trasformata dalla produzione tecnologica di beni simbolici. La posta in gioco diviene così la stessa per i contendenti (i partiti politici), i quali non scelgono più di affrontarsi facendo leva su quelle che sono le proprie caratteristiche classiche (asse «destra-sinistra»), ma si sfidano sulle tematiche che nella zona si dimostrano vincenti, ed in particolare su quelle ad alto contenuto simbolico (appunto la dimensione linguistica).

E' così che particolari forme di diritti di minoranza non vengono discussi, ed eventualmente messi in crisi, da una battaglia democratica (ad esempio secondo la dicotomia «privilegi» vs. «diritti»), ma il conflitto politico si incentra efficacemente solamente sulle direttorie autoritarie della "eliminazione dell'avversario" (secondo una dicotomia che potrebbe essere costituita dai concetti contrapposti «privilegi» vs. «negazione totale anche dei diritti»).

Chi in Alto Adige ha sostenuto una battaglia democratica o, con le parole di Alessandra Zendron, consigliere provinciale del gruppo Verde, sulla base "dei problemi comuni, affrontati in modo transetnico", cercando di annullare le spaccature etniche per proporre - casomai - una frattura dell'elettorato di tipo sociale, sul modello del tradizionale partito di massa, è stato sconfitto. E, verosimilmente, dovrà cambiare rotta.

La stessa situazione economica riflette le particolarità linguistiche e ne amplifica il cleavage. Il gruppo italiano è principalmente legato al settore pubblico ed alla grande industria, dunque (utilizzando le categorie di Shils: «centro» e «periferia») è insediato al «centro». L'italianizzazione fascista e l'industrializzazione hanno fatto si che in Alto Adige giungessero essenzialmente amministratori pubblici e burocrati preparati per sostenere il regime fascista e operai che - attraverso la creazione di una zona industriale - avrebbero dovuto trasformare la struttura sociale del luogo. Il gruppo tedesco, che con questa operazione - congiunta all'evaquazione studiata dall'accordo Hitler-Mussolini del 1939 - avrebbe dovuto essere eliminato, si "ritirò" nella «periferia» e occupò la zona rurale. A tutt'oggi la situazione riflette grosso modo questo schema. A ciò però va aggiunto che anche il turismo e la piccola e media impresa (settori tradizionalmente legati al territorio) sono quasi esclusivamente "feudo" del gruppo tedesco.

Nella peculiarità di questo quadro geopolitico, ha ottenuto consensi chi della frattura territoriale ha fatto la sua bandiera ed il suo unico scopo politico (sul modello tipico dei movimenti sociali). Ha sempre vinto (sulla base dei consensi dell'elettorato tedescofono) la Svp, partito che ha come principale obiettivo quello di massimizzare i vantaggi dell'etnia tedesca. Sta facendo da una decina di anni incetta di voti - fino a divenire (con l'eccezione del '92 e delle europee del '94) il primo partito a Bolzano - il Movimento sociale italiano che catalizzando un numero notevole di suffragi "italiofoni" cerca di negare ogni privilegio o diritto ai "tedescofoni".

La situazione potrà però essere ridenfinita dopo aver capito come si comporterà il nuovo Msi, ovvero Alleanza nazionale, e dopo aver determinato con precisione come si collocherà la forza nuova della politica italiana: Forza Italia, e soprattutto quale sarà la sua politica in Alto Adige. Rinnegherà Berlusconi in questa provincia gli interessi che a livello nazionale si è candidato a rappresentare, per scontrarsi con un partito, la Svp, che ha più o meno lo stesso elettorato sociale, ma di lingua prevalentemente tedesca? O, viceversa, sarà disposta a prendere le distanze da Alleanza nazionale (ex Msi), che in Alto Adige riscuote un grandissimo successo elettorale, pur di non diventare un partito di raccolta degli italiani e di non scontrarsi con l'altro partner di governo (la Lega Nord) sul tema delle autonomie? O - ancora - sarà An a sfumare le sue posizioni in Südtirol/Alto Adige pur di salvaguardare la posizione di governo nazionale?

Solo lo scioglimento di questa delicata contraddizione ci permetterà in futuro di ridefinire con maggior precisione la situazione politica altoatesina.

Di fatto finora, in questa provincia, la dimensione linguistica della politica ha urtato e superato i tradizionali interessi di classe. Ed è stato proprio il Msi (oggi An), visto il suo retaggio culturale e le sue radici fasciste, il partito che negli ultimi anni ha approfittato di questa situazione per amplificare e portare all'esasperazione il messaggio etnico. Sembra pertanto inevitabile analizzare oggi la geopolitica dell'Alto Adige in relazione al successo che da anni il Msi ottiene nella provincia altoatesina, ed in particolare nel capoluogo.


Il voto missino.


Già il fascismo si era distinto per la sua particolare forma di statalismo centrista. Osteggiate erano le peculiarità regionali, negate quelle etniche. Su questa base di centralismo la nuova destra missina (anche An?) può affondare le sue radici.

Il tema della comunità costituisce una costante in continuum con gli approcci fascisti. I concetti di tradizione e di centralismo vengono ricuciti assieme per produrre una solida base sulla quale costruire l'idea di comunità: così il Msi è l'unico partito che, in Südtirol/Alto Adige, è interessato esclusivamente a tematizzare in modo conflittuale la questione etnica dalla parte degli italiani.

Queste radici, condite con la perpetua opposizione alla chiusura del «Pacchetto» hanno conferito al gruppo missino in Alto Adige una credibilità particolare su questi temi, una crediblità storica costantemente riproposta.

«La posizione del Msi - per usare le parole di Piero Agostini, per molti anni direttore del quotidiano locale "L'Adige" - non è mai stata ambigua in Alto Adige. Nel 1985 una petizione fra gli italiani dell'Alto Adige annunciava che il Msi avrebbe proposto in parlamento un'ampia epurazione dello speciale Statuto di autonomia. Almirante e i suoi avevano promesso che avrebbero fatto saltare le norme speciali sul bilinguismo, quelle sulla proporzionale etnica nell'assegnazione dei posti di lavoro e nella distribuzione delle risorse economiche, e quelle sulle restrizioni in materia di elettorato attivo e passivo che colpiscono prevalentemente l'elettorato meno radicato in Alto Adige e cioè quello italiano: per questo gli italiani avrebbero dovuto firmare». Ed in questi casi, quando si cavalcano i malumori, si propongono obiettivi divisori, si lanciano affermazioni nette, spesso populiste, non è nemmeno necessario dare giustificazione di come si intende raggiungere lo scopo. «Il Msi, allestendo a Bolzano le sue bancarelle per la raccolta di firme davanti alla sua sede in piazza della Vittoria, nei crocevia più frequentati, sui ponti e, più in generale, ovunque fosse possibile imbattersi nell'obbligato andirivieni dei cittadini, non aveva nemmeno spiegato dove avrebbe trovato gli appoggi politici per raggiungere, in Parlamento, la qualificata maggioranza ch'è necessaria per cambiare norme che - come lo Statuto di autonomia - sono leggi costituzionali. E nessuno, francamente, gliel'aveva chiesto.

In questo senso - come ebbe a dire Piero Mitolo, figura storica del fascismo e principale protagonista del successo missino a Bolzano - "il voto dei cittadini di Bolzano, di Merano, di Brennero e via dicendo non è che in parte un voto missino e sicuramente non è un voto fascista. E' un voto italiano che esprime con grande eloquenza una verità. Questa: in Alto Adige la misura è colma, gli italiani sono esasperati e l'hanno dimostrato votando per noi che da anni, anzi da sempre, dichiariamo che qui, con l'autonomia, lo Stato ha abdicato ai suoi doveri e ha eretto a sistema la discriminazione di un gruppo, quello italiano"».

I valori globali della socialità vengono così subiti solo per elaborarne un nucleo ristretto, limitato alla comunanza "famigliare". «L'italianità tradita». Il sentirsi in condizione d'inferiorità rispetto al sistema di valori prevalente sul territorio costituisce una delle principali prerogative alla limitazione dei contatti: essi devono svolgersi solamente all'interno di un'area omogenea di uguaglianza la quale deve essere delimitata proprio dai tratti più evidenti, e cioè da quelli che determinano la condizione di reale o presunta inferiorità, ad esempio la lingua, secondo lo schema della "subcultura". Sta di fatto che in Südtirol/Alto Adige da una parte vi è il gruppo tedesco, minoranza secondo l'ottica nazionale, che cerca di mantenere a tutti i costi la propria peculiarità e diversità (ciò è particolarmente analizzabile nelle politiche sull'insegnamento della lingua tedesca nelle scuole elementari, sempre osteggiata dai dirigenti della Svp) e dall'altra quello italiano che, maggioranza nella prospettiva nazionale, ma minoranza de facto in provincia, si autoconsidera discriminato.

In questa situazione ha gioco facile chi porta a vanto questa presunta o reale discriminazione: immortalando e amplificando tutti gli effetti legati a questa scelta. La recente campagna elettorale provinciale missina in Südtirol/Alto Adige (novembre 1993) ha in tal senso prodotto una trovata significativa: la creazione di un adesivo raffigurante la bandiera tricolore italiana con, nello spazio bianco, la scritta: "E me ne vanto". Essere italiani e vantarsene, in contrapposizione con l'essere tedeschi o, meglio, tedescofoni. Questo è il fulcro di gran parte della politica locale in Südtirol/Alto Adige. E del Msi in particolare. Istituzionalizzare e perpetuare la differenza etnica. Assumerla a simbolo. E difatti le politiche della destra missina sono state costantemente incentrate sui simboli.


Il simbolo territoriale nella politica del Msi: la toponomastica ed il Monumento della Vittoria.


Le battaglie politiche che, negli ultimissimi anni, hanno maggiormente caratterizzato il Msi in Südtirol/Alto Adige sono state quelle territoriali sulla toponomastica (ogni zona deve essere segnalata con il suo nome tedesco e con il suo corrispettivo italiano, non solo con quello originario tedesco) e sulla necessità di salvaguardare il Monumento della Vittoria, costruito da Piacentini (architetto legato al regime fascista) nel 1928.

Per quanto riguarda i toponimi la valenza simbolica della questione è immediatamente percepibile. L'uso dei propri nomi per definire una zona contribuisce in modo sostanziale a stabilire un legame con la terra. Il nome consente una simbolizzazione ed un'oggettivazione del nesso, costituisce familiarità con una zona che altrimenti risulterebbe estranea nelle trasmissioni culturali.

Alcuni indicatori fanno ritenere che già oggi le radici territoriali siano sentite debolmente da parte del gruppo italiano in Südtirol/Alto Adige: l'efficientissimo e numericamente consistente corpo dei Vigili del Fuoco (volontario) è costituito quasi esclusivamente da abitanti di lingua tedesca; la coltivazione della terra (attività economica rilevante) è appannaggio di contadini "tedescofoni" ed anche l'abitazione delle zone di periferia vede in netta prevalenza il gruppo linguistico tedesco. Così se già oggi (con la doppia toponomastica) si può notare una scarsa affezione per il territorio da parte del gruppo italiano, è presumibile che essa verrebbe completamente a mancare, nel corso degli anni, se dovesse essere eliminata la dicitura italiana per descrivere i luoghi.

Di questo argomento si è sempre fatto latore il Msi, il quale ha così amplificato la significanza del tema, nel momento in cui esso veniva portato alla ribalta (con scarso senso tattico) dalla Svp che, viceversa, ricalcando anch'essa a sua volta il modello delle politiche di italianizzazione fascista, sostiene la dicitura tedesca.

Ogni volta che tale questione è stata affrontata in momenti prossimi a scadenze elettorali, il "gruppo italiano" si è rifugiato in grande misura nel voto missino, un voto che offre sicurezza di protezione e di controllo. A tal proposito può essere interessante ricordare che qualche mese prima delle elezioni regionali del 22 novembre 1993, la Svp aveva manifestato l'intenzione di risolvere a breve (prima delle elezioni) la questione dei toponimi, eliminando la dizione italiana. Il Msi ha presentato ben 5.000 emendamenti a tale proposta di legge, garantendo così (a prescindere dal fatto che in seguito anche il Consiglio provinciale avrebbe deciso di rinviare il problema) l'impossibilità, in termini cronologici, dell'operazione.

Questi segnali di tutela del gruppo italiano, ad altissimo contenuto simbolico, hanno consentito al Msi di autodichiararsi "il partito politico difensore dell'italianità", e questa locuzione gli ha fruttato - in termini numerici - un buon successo elettorale.


Il valore simbolico del Monumento della Vittoria nella città di Bolzano ha una doppia chiave di lettura per il locale gruppo dirigente del Msi. Da una parte esso rappresenta la memoria storica del fascismo. Dall'altra delimita quello che può essere considerato il confine tra la Bolzano "tedesca" e quella "italiana".

Dopo la prima guerra mondiale Mussolini favorì l'immigrazione in Südtirol/Alto Adige allo scopo di italianizzare la zona. Il capoluogo Altoatesino fu la principale meta degli immigrati e la sua conseguente espansione edilizia avvenne sul lato est dell'originario borgo medievale. Il Monumento della Vittoria segna dunque l'italianizzazione della zona e, posto sulla riva est del torrente Talvera, indica l'inizio della "sponda italiana" caratterizzata da un'architettura propriamente fascista, monumentale e nel contempo razionalista, in netta contrapposizione con l'architettura del nucleo originario, di stampo tedesco, tipicamente gotico-romanica.

Ecco dunque che la salvaguardia di questo monumento (che una parte del gruppo tedesco vorrebbe distruggere e dimenticare) assume la caratteristica di un simbolo, di un mito politico: niente di prettamente politico, ma che diventa tale una volta che la questione viene assurta a simbolo. Il simbolo dell'italianità in contrapposizione all'essere tedesco. Il confine di una zona riconoscibile immediatamente, connotata chiaramente, all'interno della quale un italiano può recuperare la sua coscienza nazionale anche a livello visivo: si sente a casa.


L'elettorato altoatesino: una doppia geopolitica.


Una doppia caratteristica - in termini geopolitici - contrassegna così il Südtirol/Alto Adige.

In primo luogo abbiamo una zona che si approccia alla politica con un occhio principalmente rivolto all'appartenenza etnica. E in questo senso non sembra inopportuno ricordare che da quando la Svp ha, sotto la guida di Durnwalder, impostato la "politica del sorriso", perde consensi, accusata di essere "troppo buona con gli italiani". La Svp oggi si sta muovendo, a differenza dei nuovi partiti nazionalisti di "ceppo tedesco", verso un'atteggiamento più moderato, anche nei termini. I dirigenti non parlano più di autodeterminazione (termine lasciato a Eva Klotz e Alfons Benedikter, i leader dell'Union für Südtirol), ma puntano ad obiettivi di consolidamento dei diritti (o, secondo parte dell'elettorato altoatesino, dei privilegi) acquisiti.

Se vogliamo, forzando un po' le categorie concettuali di Max Weber, si può in questo spostamento politico (dall'autodeterminazione, alla richiesta di regolamentazione dell'autonomia) vedere una sorta di maturazione, di integrazione che, sulla base di legami di interesse, porta ad una loro regolamentazione e dunque ad una società compiuta. Essa partendo da un fondamento esclusivamente di appartenenza che, quando è motivato esclusivamente dagli affetti o dalle tradizioni, produce una comunità (la Gemeinschaft), ridefinisce i propri obiettivi fino a giungere al concetto di società (la Gesellschaft). Ma questa "maturazione" in termini di consensi sembra non pagare. Così facendo le caratteristiche (schmittiane) del confronto politico, basate sulla definizione sia del «Noi», che dell'«Altro» vengono rarefatte: la contrapposizione «Amico» vs. «Nemico» è meno legata al territorio, meno percepibile e dunque meno produttiva a livello elettorale. Ne approfittano così i movimenti estremisti (sia "tedeschi" che "italiani") che invece questa distinzione la marcano costantemente.

L'altra caratteristica riguarda la geografia del voto missino in Alto Adige. Moltissimi voti raccolti a Bolzano, che diminuiscono progressivamente man mano che ci si sposta in periferia. E le ragioni possono essere molteplici, ma due sembrano essere degne di menzione. Innanzitutto la prima, la più banale: a Bolzano - per il consueto effetto prodotto dai movimenti migratori - ci sono molti più italiani che nel resto del Südtirol/Alto Adige, ed il voto missino è stato un voto esclusivamente italiano (con il trapasso ad Alleanza nazionale si vedrà). Ma a Bolzano sembra comunque esserci stato maggior attecchimento delle politiche missine anche all'interno dell'elettorato italiano, rispetto alle altre cittadine altoatesine: questo può essere ricollegato al fatto che «la Proporzionale» viene calcolata sulla base delle presenze provinciali. A livello provinciale i tedescofoni sono circa il 68%, mentre essi diminuiscono vertiginosamente nel capoluogo (circa il 27%). Questo iato non modifica però la quota proporzionale nel capoluogo, e pertanto la città concede benefici ai tedeschi in misura largamente superiore rispetto a quanto sarebbe la percentuale ivi registrata. Questo probabilmente comporta scontenti sempre superiori e anche da qui nasce l'esigenza di un voto di difesa, più sentito a Bolzano che in periferia.

Vi è poi - come ricordato più sopra - la situazione socio-economica. Pure essa sensibilmente legata e riflettente il cleavage linguistico ma che propone anche una frattura geografica. E anche in questo campo il gruppo italiano si sente - oggi più di ieri - probabilmente minacciato. L'industria (dove sono occupati principalmente membri del gruppo italiano) è in crisi e la pubblica amministrazione, per tradizione "italiana", dall'entrata in vigore dello Statuto di autonomia comincia ad essere ripartita proporzionalmente tra i gruppi linguistici e, gradatamente, porterà i pubblici uffici ad essere composti dai diversi gruppi linguistici secondo il rapporto vigente sul territorio: ed il capoluogo è il centro della burocrazia, e dell'industria.

Viceversa il gruppo tedesco, da una parte mantiene saldi i suoi settori economici attraverso particolari tutele, dall'altra riesce ad occupare in modo rilevante (nel corso del tempo questa rilevanza diverrà predominanza) gli uffici pubblici. Infatti l'agricoltura è considerata un tratto caratteristico della provincia, un patrimonio da salvaguardare, anche attraverso l'erogazione di contributi economici mentre il turismo e la piccola media impresa - settori propulsivi - sono legati, per ovvie questioni geografiche, al bilinguismo. In questo senso limitare la conoscenza del tedesco nella provincia di Bolzano significa impedire ad una parte della popolazione l'accesso agli entitlement indispensabili per proporsi come soggetto economico competitivo. A farne le spese sono principalmente gli "italiani" che oltre a non essere troppo portati geneticamente per le lingue straniere, subiscono anche gli effetti delle politiche della Svp in materia di bilinguismo. E' da ricordare come la Svp si sia (forse per reazione alle politiche linguistiche fasciste) tenacemente opposta all'insegnamento precoce della seconda lingua nelle scuole materne della provincia. In questo senso il gruppo tedesco può dare l'impressione di "accerchiare" Bolzano, di poter "conquistare" anche quello che era rimasto l'ultimo baluardo a maggioranza italofona.

Questa raffigurazione, assieme alla percezione di essere il gruppo economicamente "a rischio", contribuisce a radicalizzare le posizioni e ad aumentare il disagio del gruppo italiano, un gruppo che si sta lentamente assottigliando, avvolto dalla spirale senza via d'uscita costituita dalla «proporzionale»: meno residenti, dunque meno rappresentanza, meno tutela, maggior emigrazione e, così, ancora meno quota proporzionale e via dicendo.

D'altra parte, come gli eventi ci testimoniano quotidianamente, la convivenza tra etnie diverse è oggettivamente difficile: nonostante la percezione che un compromesso come quello proporzionale possa essere debole c'è la consapevolezza che esso rappresenti una delle uniche esperienze di convivenza non belligerante. Solamente il diritto - hobbesianamente inteso come relazione reciproca tra protezione e obbedienza - la garantisce. Ma in quest'ottica si deve prendere anche atto della possibilità di posizioni radicali, di opposizione dura e di pura difesa. Purché nel rispetto delle norme stabilite.


E oggi?


Con i nuovi risultati elettorali la situazione sembra in mutamento.

Infatti Alleanza nazionale dovrà riuscire a far convivere una politica di opposizione dura in Südtirol/Alto Adige (per continuare a raccogliere consensi sulla base della continuità con il Msi), con una di governo a livello nazionale. E la cosa potrebbe rivelarsi alquanto impegnativa se Forza Italia dovesse mantenere l'altissimo numero di voti raccolto alle ultime "europee" anche alle prossime amministrative e si candidasse così a ricoprire un ruolo di governo.

Oggi comunque è ancora presto per capire se la transizione da Msi ad Alleanza nazionale, la netta affermazione (anche in Alto Adige) di Forza Italia nelle ultime due tornate elettorali (politiche ed europee) di primavera e la attuale presenza al governo di entrambe queste forze politiche in coabitazione con la Lega Nord (che ha sempre fatto - diversamente da An - del decentramento il suo cavallo di battaglia) contribuiranno a far sfumare in Südtirol/Alto Adige le posizioni più estreme in vista di una ridefinizione del concetto di «destra» (dunque della dimensione linguistica della politica locale) e di un rafforzamento della proposta di governo nazionale eventualmente affiancato (in futuro) da un'ipotesi allineata della giunta provinciale. O se invece i leader di questi nuovi (o rinnovati) gruppi troveranno altre formule per sciogliere quella che oggi costituisce una evidente contraddizione nell'alleanza di governo in relazione alla geopolitica altoatesina.

Maurilio Barozzi in “LiMes. Rivista Italiana di Geopolitica” 4/94 A che serve l’Italia. Pp. 133-140.


bottom of page