Arriva a Trento Vasco Rossi. Non è più quello del 1982, che si presentò a Rovereto come un rocker di giustificate speranze e, davanti a un pubblico radioso ma contenuto, il massimo del clamore lo ottenne cantando “Cocaine” di Eric Clapton. Stavolta si esibirà in uno spazio appositamente programmato per ospitare 120 mila persone: l'apogeo dell'artista divenuto idolo raccontando il suo profondo e le sue paranoie. L'altro giorno riascoltavo un suo vecchio brano, “La noia”, e mi è venuto in mente un romanzo che Don De Lillo scrisse nel 1973: “Great Jones Street”. Una rockstar affermata e dedita a ogni eccesso che a un certo punto – nel pieno di una tournée – molla tutto e si rifugia in un appartamento a riflettere sul senso della sua vita, della sua carriera e dell'industria dello spettacolo. Un libro allucinato e crudo, non certo il migliore di De Lillo, ma che spinge a interessanti riflessioni. È una fuga dalla noia che colpisce anche le star e che può renderle apatiche. Dice a un certo punto Bucky Wunderlick, il rocker protagonista del romanzo: «Quando vedo il pubblico saltare come salta o tenersi la testa fra le mani nel modo in cui vedo che tende a stringersi la testa fra le mani, ho addosso come un senso di malinconia perché io per primo mi sento esausto di tanto movimento e vorrei proprio mettermi contro un muro e diventare assolutamente inerte». Poi il trip allucinato in Great Jones Street fino a quando le «settimane di pace assoluta» inevitabilmente finiranno. E «farò ritorno a qualunque cosa mi aspetti fuori di qui», è consapevole Bucky.
Ma non è, questa, anche l'idea contenuta nella canzone “La noia”? Una fuga alla ricerca di qualcosa di diverso e il presentimento di un ritorno, che però sarà rassegnazione: «Tornerai solo quando avrai bruciato tutto» canta all'inizio Vasco. Per poi rendersi conto che «quella noia che c'era nell'aria allora, è ancora qui. È qui che ti aspetta sai, e tu ora non puoi certo più scappare come hai fatto allora. Ora sai che vivere non è vero che c'è sempre da scoprire e che l'infinito, è strano ma per noi, sai, tutto l'infinito finisce qui». Una poesia malinconica, disincantata e struggente. Sottolineata dalle note finali al sassofono del compianto Rudy Trevisi.
Don De Lillo, “Great Jones Street” Il Saggiatore, 1997.
(L'Adige 16/5/2022)
Maurilio Barozzi
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