PAMPLONA (Spagna) Lug. 2003 – Pamplona è un naufragio. Ci arrivi con "Fiesta" sotto il braccio e l'aria da letterato; la lasci coi vestiti sudici e lo sguardo vacuo da alcolizzato. Mi disse così un vecchio farabutto che conosco da oltre dieci anni, un amante della fiesta di San Fermin di Pamplona, dei tori, delle corride e - soprattutto - del rum. Ci sono stato sei volte: ho capito che, nonostante sia stata formulata da un autentico figlio di puttana, quella è una verità. Una regola.
Un tizio mi ha scritto che nel mio reportage del '98 avrebbe letto volentieri anche la descrizione della città. Amico, parliamoci chiaro: se sei a Pamplona a San Fermin è perché adori "Fiesta" di Hemingway. Se sei qui, sai che si beve, si vedono corride, si corre coi tori sulle strade di pietra viscida, non si dorme, ci si spruzza addosso il vino, si beve ancora e, quando non se ne può più, si scappa. Se cerchi una bella città, belle chiese, pinacoteche e musei, vai a Saragozza, Burgos, al limite anche Logroño (sempre per restare nei paraggi). Vuoi una bella spiaggia? C'è San Sebastian. Ma se vuoi questo, Pamplona non fa per te.
Comunque, la descrizione.
Sta sulle colline della Navarra, tra i fiumiciattoli Arga e Sadar. Ha un clima del cazzo che ricorda quello delle mie zone – nord Italia, caldo umido d'estate, aria gelida d'inverno. Nel centro storico: chiassuoli stretti e calli in pavé levigato dai passi; le pareti delle case quasi tutte di un marroncino chiaro, color niente, molte scrostate; tapparelle e imposte stan su per miracolo. Se hai l'opportunità di sporgerti su un tetto, vedi tegole alla rinfusa, un proliferare selvaggio di antenne e la comparsa di rialzi (col mattone ancora a vista) o di verande-mansarda inventate alla bisogna: quasi quasi gli ultimi piani degli edifici cadenti e occupati abusivamente a l'Avana. Finis. Arte, poca se togli Cattedrale e Ayuntamiento. In più, in giro si respira un asfissiante sentore di Opus dei che mette le mani su tutto quanto: università, uffici, cariche pubbliche. Insomma: niente di che. Qui devi venirci a San Fermin. Punto. Il fatto è che se ci vieni, poi non ne farai più a meno. Dopo questa descrizione, suona strano, no? Eppure.
Pamplona. Ci torno quest'anno per la sesta volta, dopo che l'anno scorso non ero venuto. Sono con un amico, Stefano, che da qualche giorno, per l'occasione, si fa chiamare Esteban. L'auto scivola giù da Roncisvalle. I finestrini abbassati inalano profumo di pino e aria fresca che fa frusciare le pagine di "Fiesta" di Hemingway, aperto sul sedile dietro. Dalle montagne dei Pirenei, distese di prati ingialliti e vacche. Poi, di colpo, la cintura urbana. Eccoci.
Per l'entrata in centro, voglio spararmi una musica forte. Esteban è perplesso: ho giù il finestrino, l'autoradio pompa la "Marcia trionfale" dell'Aida a tutta manetta. Fa un po’ tamarro? Chissenefrega, è il cinque di luglio, domani comincia la battaglia: vieni, o guerriero vindice.
In città, tutto pronto: le discoteche all'aperto piene di bandierine di fronte all'arena; le barreras (staccionate in legno semovibili) per la corse dei tori; i turisti che trascinano valige e cercano stanze disperatamente… Tutto come sempre. Tranne plaza del Castillo. Quella è diversa, completamente bianca passata da una sborrata di cemento e calce dopo che gli alberi che la perimetravano sono stati tagliati tutti. Cristo!, ma che diavolo hanno fatto?
Una ragazza, una lesbica che lavora in un bar di lesbiche nel quartiere euskero, mi spiega: la sindaca ha ordinato di segare gli alberi. Lo hanno fatto di nascosto, nottetempo. La tizia è incazzata nera. Annuncia che proprio per quello scempio la sera è in programma una manifestazione di protesta. Porta una maglietta attillata con la scritta MARITRINI. Mi chiede se ci sarò anch'io a manifestare con loro. Le dico: «Dammi una cerveza». Esteban domanda cosa sia quel MARITRINI che ha sulla t-shirt. Lei spiega che Maritrini è una cantante «mucho, mucho caliente. Lesbian». Ma vah?, sai che non l'avrei detto, cara la mia Saffo?
Mentre ci spilla le birre, Esteban promette che la sera ci saremo anche noi in piazza contro il comune che ha fatto mozzare gli alberi. La 'Maritrini' mi guarda. Mi tocca dire: «Ok, ci sarò anch'io». Porca puttana, io avevo in mente altro che partecipare ad una manifestazione politica. Ma Esteban è così. Prima di andarcene, sia lei che le sue amiche ci baciano sulle guance. Neanche fossimo vecchi amici.
Sotto il sole giaguaro, setacciamo la città torrida a caccia di una stanza. Tempo perso. Cento euro a testa. Qualcuno si abbassa un po': centoventi per due. Uno arriva pure a 90 euro in due. Ma la stanza è un buco. Al diavolo, la solita storia, tutti gli anni. Così, prendiamo la macchina e ce ne usciamo, direzione Roncisvalle. Proviamo qua e là nei paesini, finché a Larrasoaña, pochi chilometri a est, la fortuna che non ti aspetti: sistemazione in un villino che offre alloggio ai pellegrini sulla via di Santiago de Compostela.
La stanza, una camera con bagno a parte, ampio e luminoso, costa 16 euro a zucca. Sotto c'è un bel giardino e il dirimpettaio ha pure la piscina. Ventura e Pilar, si chiamano così i due anziani - marito e moglie - che ci ospitano, ci danno le chiavi, ci dicono di fare come a casa nostra. Il vicino, un quarantenne con un paio di pargoletti che si porta in giro per mano, appena vede che scarichiamo i bagagli, si ferma a sparare due puttanate. Dice che domani andrà a bere a Pamplona, che tutto sarà chiuso per la Fiesta e nessuno lavora. «Sono tutti a bere vino, birra e calimocho», spiega. E mima col pollice alla bocca, nel caso non avessimo capito. Il calimocho è porcheria: cocacola e vino mischiati. Fa venire la cagarella, ma qui, soprattutto i giovani, ne vanno matti. Ah, se vogliamo - aggiunge - possiamo fare il bagno nella sua piscina. Ecchecazzo, altroché se ce lo facciamo un bel tuffo nella tua splendida piscina. Abbiamo anche il costume!
1. CONTINUA
Pamplona, luglio 2003
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