SALVADOR DE BAHIA (Brasile) - Andiamo a vedere questa Terragnolo. Avrà pensato così, tempo fa, João Pedro Stedile, dirigente del movimento brasiliano dei Sem Terra, mettendosi in tasca la lettera d’invito che gli aveva spedito un lontano parente, mai visto, e che abitava dall’altra parte del mondo, in Italia, nello sperduto Trentino.
Già, deve proprio aver pensato così. Però è salito su un aereo ed è arrivato a Terragnolo, dove «hanno fatto una festa, hanno chiamato la banda, mi hanno consegnato una medaglia della città… Cose da italiani con nostalgia», racconta lo stesso Stedile dalle colonne dell’ultimo numero del settimanale brasiliano di politica, economia e cultura «CartaCapital». João Pedro Stedile precisa inoltre: «Il dialetto veneto fu la prima lingua che imparai, con mia mamma e mia nonna, in un paese all’interno dello stato del Rio Grande do Sul».
È affascinante come i ricordi siano tenuti in vita da episodi come questo.
Ed è affascinante riflettere sul fatto che, in Brasile, ci sia ancora molta gente che ha mantenuto i legami con la terra di origine dei suoi nonni a partire dalla lingua, il dialetto. Di tutto ciò, su «CartaCapital» si sta discutendo per la recente traduzione e pubblicazione da parte della casa editrice Editora Unicamp del libro «A Grande Emigração» di Emilio Franzina, professore di storia contemporanea all’Università di Verona, sulla migrazione di veneti e trentini verso il Brasile, alla fine del XIX secolo. Oddio, per la verità, prima di decidersi a pubblicare lo studio ci hanno messo quasi trent’anni, ma alla fine lo hanno fatto. Del resto il Brasile solo negli ultimi anni è diventato un paese di emigrazione, verso gli Stati Uniti e l’Europa, e ciò fa sì che la sensibilità verso tali temi inizi a crescere. La pubblicazione di questo libro è un segnale chiaro. Tanto più che, nonostante il ritardo di pubblicazione rispetto all’edizione italiana (del 1976), mantiene tutti gli elementi di interesse, assicurano i curatori.
Dunque anche il Brasile inizia a fare i conti con una parte della sua storia che ai più risultava sconosciuta. Per dire, la rivista racconta come la «Società Veneta San Marco» fu uno dei centri di aggregazione socialista a San Paolo, dove furono pubblicati diversi giornali di tendenza anarchico-socialista, come «O Avanti», lanciato nel 1900.
Inoltre, sempre secondo gli interlocutori di «CartaCapital» (oltre all’autore del libro, i professori Luigi Biondi e Zuleika Alvim, già autrice di un libro intitolato «Brava Gente!»), l’origine della migrazione nel periodo immediatamente successivo all’unificazione d’Italia, fu dovuta a «un eccesso di popolazione nell’area (il Veneto) che il governo cercò di svuotare». Ma non solo. La Alvim sostiene che tale migrazione sia stata una scelta ben orchestrata a livello politico, con la benedizione dei grandi gruppi economici. Spiega: mano a mano che queste persone (spesso lavoratori in eccesso) venivano convogliati verso la migrazione, si evitavano battaglie di lavoro e organizzazioni nei campi. E aggiunge che molti banchieri italiani buttarono gli occhi sulle rimesse che i migranti inviavano verso la terra natia, sia che servissero ad aiutare i famigliari sia per pagare debiti.
Per terzo, le grandi compagnie di navigazione - spesso legate alle banche stesse - fecero fortuna grazie al fenomeno.
Nello specifico ‘trentinveneto’, la terra rivestiva un’importanza enorme anche per tentare di riprodurre nel Paese di arrivo la forma famigliare che avevano in patria, con il sogno della piccola proprietà e parenti al seguito. A differenza degli altri italiani che migrarono, i triveneti portavano con sé la famiglia e delle piccole somme: «Furono pochissimi ad arrivare in Brasile come avventurieri solitari», afferma la Alvim.
L’immigrazione triveneta nel Rio Grande do Sul non si indirizzò nelle fazende, ma riuscì a fondare vere e proprie colonie «come la colonia Garibaldi, formata nel 1875», ricorda Ana Paula Sousa, autrice dell’articolo.
Il tratto che accomunava di più i «nostri» immigrati era, manco a dirlo, il forte cattolicesimo che essi manifestavano.
Addirittura - racconta Rovinio Costa, uno dei più famosi studiosi delle migrazioni in queste aree - «fino agli anni Cinquanta, se fosse arrivata una tempesta, il colono diceva ai famigliari che ciò era successo perché qualcuno in casa aveva bestemmiato troppo». Già, avrà pensato andiamo a vedere questa Terragnolo, João Pedro Stedile. Eppure diversi anni dopo ha voluto raccontare quel viaggio per ricordare e far conoscere in Brasile i suoi antenati del Trentino.
Maurilio Barozzi
L’Adige, 17 febbraio 2007
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