Sembrano scritte ieri - mentre sono del 1995 - le parole di Italo Calvino. In “Sotto il sole giaguaro” raccontava come, in un periodo in cui tutto ciò che si può vedere lo si vede anche da seduti sul divano davanti alla tv, il vero senso del viaggiare sta nell’immergersi nella cucina del paese che si va a visitare. Probabilmente ciò che resta di più vero e difficilmente surrogabile delle particolarità di un luogo, delle sue radici: il cibo. Una cultura «da far passare per le labbra e l’esofago».
Per restare nella prospettiva e alimentare il concetto di sensorialità, potrebbe dunque attrarre la lettura di “Afrodita”, di Isabel Allende. Un libro che, come dice il titolo, racconta il legame tra il cibo, il rapporto con gli altri, la storia, il sesso e il benessere in generale. Così, se qualcuno si troverà a passare per una malga in questi giorni di Ferragosto, potrebbe apprezzare il formaggio che gli verrà proposto ricordandolo nella sua forma primitiva, così come ha fatto proprio la Allende in alcune righe del suo libro. «Il formaggio è latte e batteri; tutto il resto è fantasia. La prima volta che vidi fare il formaggio fu in una fattoria venezuelana dell’interno, calda come il Sahara, in un capannone insalubre in cui sei mucche aspettavano indifferenti il loro turno di mungitura, ruminando il fieno e scacciando le mosche con la coda. La parte di latte destinata a quello che a ragione prende il nome di “formaggio a mano” veniva mescolata al caglio, il calore moltiplicava i batteri e appena il liquido si rapprendeva veniva filtrato in un grande colatoio. Il siero gocciolava direttamente sul letame e ciò giustificava l’odore, che non era semplicemente di escrementi di mucca. Il resto passava in bacinelle rotonde in cui Don Maurizio, un mulatto gigantesco a torso nudo, immergeva il braccio fino all’ascella e rimestava come Dio comanda sudando e cantando. Don Maurizio, il grande artefice del formaggio, teneva la radio a pile sintonizzata su una stazione dalla quale joropos, salsas e rancheras gli davano il ritmo per trasformare il caglio in formaggio; il tempo era talmente preciso che il risultato era sempre identico».
Isabel Allende, “Afrodita”, Feltrinelli 2000.
(L'Adige 21/8/2023)
Maurilio Barozzi
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