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La porti un bacione a Firenze (3/10/2025 - l'Adige)

  • Immagine del redattore: Maurilio Barozzi
    Maurilio Barozzi
  • 3 nov
  • Tempo di lettura: 4 min

Firenze è città d'arte per antonomasia e gli scrittori di ogni epoca fecero a gara per raccontarla: da Dante a Hesse, da Schopenhauer a Saba, da Fortini a Eliot, da Ivan Graziani a Mark Twain. Uno scrigno di bellezza che stordisce e svuota come un verso di Carducci: «Voglio adagiarmi in un tedio che duri infinito».


Terreiro de Jesus a Bahia  all'imbrunire
Duomo e Campanile di Giotto - Firenze (Italia)

Maurilio Barozzi - Le Città nei libri/19


FIRENZE – Tom Jobim diceva che il miglior modo per girare New York e non farsi venire il torcicollo è farlo in barella. Firenze è per la moto. «Città in cui il selciato è una sorta di mosaico», ha scritto Schopenhauer. Ma anche città di vino, di carne, di vita. Odore di traffico. Da viale Redi fino alla stazione di Santa Maria Novella l’orizzonte pare fagocitato da tram traboccanti e auto incolonnate. La moto è la salvezza. Su la visiera del casco. Sguardi rapidi. Calcoli mentali. Scelta di traiettoria. Sorpassi. L’unica rogna sono tutte quelle zone a traffico limitato. Vabbé, se ne riparlerà all’apparire della famigerata busta verde.

Eccomi al Giubbe Rosse. Fu tana di intellettuali e Giuseppe Prezzolini vi ideò “La Voce”. Volo più basso: mi aspetta Vittorio, vecchio amico fiorentino emigrato a Trento con saudade: «Lavoro perché un giorno a casa tornerò. La porti un bacione a Firenze», sintetizzerebbe Odoardo Spadaro. Un paio di birre e ce la battiamo, atterriti dal conto. «In centro è così dappertutto», chiosa il Vit. «Ormai Firenze è comprata dai turisti». Padroni e schiavi nel contempo. Clienti ghermiti dalle malie di una splendida seduttrice. «Godi, Fiorenza, poi che se’ si grande/ che per mare e per terra batti l’ali/ e per lo ‘nferno tuo nome si spande/ Tra li ladron trovai cinque cotali/ tuoi cittadini onde mi ven vergogna», ironizzava Dante. Ma di ladroni ancor ve ne si trovan tuttora ad abundantiam.


Perseo e Medusa decapitata - Firenze
Perseo e Medusa decapitata - Firenze

«Non lontano da Palazzo Pitti avevo scoperto quelle rare, piccole osterie, dove si è conservata la semplice ospitalità fiorentina d’un tempo e si serve un Chianti più genuino e a buon mercato che nelle moderne mescite» sostiene Hermann Hesse. Per il Chianti Vit propone Da Burde. «È un po’ fuori mano ma vale la pena. Ci sbafiamo anche una pappa al pomodoro: sono lì dal 1901, se non la sanno fare loro…». Aveva ragione. Poi, di nuovo in centro, mentre lui procede alla visita parenti, mi cerco un hotel. Vorrebbero scucirmi centottanta cocuzze per una camera. D’accordo, con vista sulle «facciate marmoree delle chiese, e più sotto l’Arno, gorgogliante contro gli argini», come dice Edward Foster. Ma centottanta euro fa rima con ricovero alla neuro. Della carità del vecchio sindaco La Pira questa città s’è giocata ogni traccia. Provo una pensioncina di terza scelta. Tariffe abbordabili. Salvo che per ogni richiesta si devono sganciare altri tre euro di sovrattassa. Aria condizionata? Tre euro. Rientro fuori orario? Tre euro. Rete internet? Tre euro… Non resta che piangere, come avevano messo in guardia Benigni e Troisi a suon di fiorini.Per di più l’antro sarà quattro metri quadri. Beh, in fondo devo solo dormirci.

Ritrovatici, l’autoctono cicerone Vittorio propone la visita agli Uffizi. Ma gli Uffizi li abbiamo già visti entrambi e così lo convinco a stornare il conquibus dell’ingresso su due birre scure, in un bar lì a fianco. Rafforzo il progetto con medicea citazione: «Chi vol esser lieto sia/ del doman non v’è certezza». Scuote le spalle. Trionfano Bacco e Arianna: Guinness batte Giotto due a zero. In trasferta, se si può dire.

Fraseggia Franco Fortini: «Ogni cosa è al suo luogo. Quando torno a Firenze, se vo per quella strada, nel cortile entro e guardo lì». Anche noi, dunque, a guardar lì, dove un tempo approdavamo suggellando le ruggenti notti fiorentine: Montecarla, via dei Bardi. Stradina stretta. Off-limits per l’auto ma adelante moto. Il parcheggio è il ciglio, tra strada e muro. Buio. La casa trabocca edera con una porta verde. Una porta esigua. Una porta ambigua. Lì, appena dentro, nella penombra prillavano sbuffi di taffetà, e strascichi di seta. Anfratti, nascondigli, alcove. Cuscini e tappeti leopardati. Letti. Ci si poteva stendere e sorseggiare. Più centurioni che centauri. Era a suo agio, in quella specie di dannunziano Vittoriale, Vittorio. E non solo per via del nome. «Una volta era un bordello», bramì. Oggi è solo edera e il ricordo di quei dì.


Firenze vista dal Campanile di Giotto
Firenze vista dal Campanile di Giotto

Il giorno seguente l’addio a Vittorio e l’assalto dei sensi di colpa. Par di sentire Mark Twain: «Non potrei avere pace se mi si accusasse di aver visitato Firenze senza aver incrociato le sue stancanti, chilometriche gallerie di quadri». E così, scalo con smisurato slancio i 414 gradini del Campanile di Giotto «con i suoi delicati marmi rosa, le graziosissime finestre… le colonne a spirale e la sua snella altezza», descrisse l’acuta George Eliot. Da lassù è tutto un brulicar di tetti e di colori. La cupola di Brunelleschi, quella di San Lorenzo, il Palazzo Vecchio… e giù, piazza della Signoria con le sue statue, Ponte vecchio, Santa Maria Novella…

Santa Croce - Firenze
Santa Croce - Firenze

«E c’è questo di straordinario, che a Firenze l’architettura gotica è di un gusto migliore che altrove», valutava Montesquieu viaggiando per l’Italia. E però riempiendoti di tanta bellezza, storia, memoria, Firenze ti fa sentire piccolo e vuoto. E inquieto come quella poesia di Umberto Saba: «Palazzo Pitti di fronte. E mi volgo/ vane antiche domande: perché, madre/ m’hai messo al mondo?». Col rischio di farti precipitare, incupendoti sulle orme del fiorentino  Giosué Carducci: «Voglio adagiarmi in un tedio che duri infinito».

Solo, me ne torno in pensione canticchiando Ivan Graziani: «E io che farò/ in questa città/ fottuto di malinconia».


Maurilio Barozzi, L’Adige 3/11/2025



La pagina del quotidiano l'Adige
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