
Lui, Lou Ford, la sentiva arrivare. Ma era già troppo tardi. La chiamava “la malattia” ed era l’irrefrenabile spinta a far del male. Lo aveva fatto per la prima volta da giovane, a 14 anni. Aveva abusato di una bambina. E, quindici anni dopo, eccola di nuovo: “la malattia”. “L’assassino che è in me” sembra un trattato di psicologia criminale. Considerato da Stephen King un maestro del genere, assunto da Stanley Kubrick per la sceneggiatura di un paio di film (Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria), accostato da alcuni critici a scrittori prodigiosi quali William Faulkner e Flannery O’Connor, “Big” Jim Thompson ha introdotto nella letteratura l’elemento soggettivo di una mente nefanda. Quando fu pubblicato (1964), “L’assassino che è in me” venne ritenuto troppo crudo per la collana dei gialli Mondadori dato che racconta in prima persona le efferatezze cui si lascia andare Lou Ford. E anche per il messaggio che il romanzo veicola: non c’è salvezza su questa terra per «la nostra razza. Noi gente. Tutti noi che abbiamo iniziato la partita con la stecca storta, che volevamo così tanto e abbiamo avuto così poco, che avevamo intenzioni tanto buone e abbiamo fatto tanto male».
Dunque, inizialmente il libro venne relegato nella collana dei gialli da edicola e solo in seguito fu rivalutato. La principale abilità dell’autore è quella di consentirci di accettare la cattiveria del protagonista grazie all’elemento ironico che le fa da contorno. Lou Ford è talmente perfido che anche nelle sue espressioni più apparentemente benevole, riesce a risultare sgradevole. Lo confessa chiaramente già nelle prime pagine, quando importuna un barista con una serie di luoghi comuni noiosissimi, perfettamente cosciente di scocciarlo: «Quel tipo mi piaceva ma era troppo buono per lasciarlo così. Educato, intelligente: quei tipi sono il mio pane» dice. E avanti a rompergli le scatole a suon di amene frasi fatte. Così, una volta entrati nella sua psicologia, noi lettori siamo pronti a tutto. E lui, tra angherie, pestaggi, omicidi – “la malattia” – non ci fa mancare niente.
Jim Thompson, “L’assassino che è in me”, Fanucci, 2003.
(L'Adige 4/12/2023)

Maurilio Barozzi
LA BIBLIOTECA DI BABELE
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