Era verso la fine degli anni Ottanta. All’epoca, con un amico - Gianpaolo - leggevamo tutto quanto arrivasse dalla cosiddetta Mitteleuropa. Gianpaolo aveva conosciuto il professor Claudio Magris di cui era da pochissimo uscito “Danubio” e per noi ogni suo suggerimento - diretto o tramite i suoi scritti e i suoi libri - era Verbo. Ci abbeveravamo a Kafka, Joseph Roth, Lernet-Holenia, Boumil Hrabal, Elias Canetti e rimanemmo folgorati da Leo Perutz (scovato da Eugenio Pellegrini e pubblicato dall’editore trentino Reverdito oltre che da Adelphi). In quel periodo però tutti parlavano ancora di un altro romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera.
Con l’altezzosa saccenteria dei ventenni universitari (io) e degli insegnanti di primo pelo (Gianpaolo), non ci degnammo nemmeno di considerarne la lettura. Se - ragionavamo con ferrea logica snob - il libro è apprezzato dalle masse, per definizione dev’essere qualcosa di basico, per non dire terra-terra. Di certo privo di quel carattere superiore, eccezionale, in certo senso forse anche altezzoso che un’opera d’arte deve possedere. Fummo però costretti a tornare su nostri passi quando ce lo ritrovammo citato da Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”. Calvino lo tirava in ballo per dimostrare invece «l’ineluttabile pesantezza del vivere» ma ne decantava «le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere». Così i protagonisti di Kundera - il dottor-lavavetri Tomâs, la cameriera-fotografa Tereza, la pittrice Sabine, in certo senso il professor Franz, senz'altro la cagnolina Karenin - entrarono, seppur furtivamente (il pregiudizio è difficile da scardinare) nel nostro ventaglio di pagine lette. Su una di queste, oggi ritrovo sottolineata una frase: «Stavo sfogliando un libro su Hitler e mi sono commosso alla vista di alcune sue fotografie: mi ricordavano la mia infanzia; io l'ho vissuta durante la guerra; parecchi miei familiari hanno trovato la morte nei campi di concentramento hitleriani; ma che cos'era la loro morte davanti a una fotografia di Hitler che mi ricordava un periodo scomparso della mia vita, un periodo che non sarebbe più tornato?». A fianco avevo annotato un punto di domanda.
Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” Adelphi, 1985
(L'Adige 17/7/2023)
Maurilio Barozzi
LA BIBLIOTECA DI BABELE
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