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L'Italia è nell'euro 26/03/1998

Aggiornamento: 17 lug 2023


Mucche a riposo sulla spiaggia di Goa

L’Italia è nell’Euro

giovedì 26 marzo 1998

Dunque ci siamo. Ormai la decisione è stata presa. Ieri la Commissione europea e l’Istituto monetario europeo (Ime) hanno reso note ufficialmente le proprie valutazioni: l’Europa dell’euro sarà composta da undici stati. E l’Italia ci sarà. Dopo i sacrifici che hanno migliorato le performance economiche e ridotto il rapporto tra deficit e prodotto interno lordo al di sotto del 3%, come richiesto da uno dei criteri di convergenza stabiliti a Maastricht nel 1992, il tempo delle pagelle è finito. Rimane quello del rigore. L’euforia che si accompagna a questa notizia sembra essere generale, anche se, ad una analisi più attenta, qualcuno forse ha fatto i conti un po’ troppo in anticipo. E magari, prima di stappare le bottiglie di spumante, dovrebbe riflettere un momento. Soprattutto in Trentino Alto Adige. In regione ci sono infatti una serie di categorie che, francamente, dall’ingresso nell’euro-Europa - che ci pone di fronte ad una prospettiva di concorrenza spinta - hanno tutto da perdere e poco da guadagnare. A partire da ampi settori della classe politica: che Europa può avere in mente chi giudica con insofferenza che la Commissione bicamerale dello Stato indichi - sulla base del risultato di un referendum pressoché plebiscitario, anche in regione - i principi generali che dovranno ispirare la legge elettorale regionale? Può un tale gruppo dirigente volere seriamente l’Europa di Maastricht e Amsterdam? Una costruzione che afferma sì il principio di sussidiarietà (e comunque, beninteso, esplicitamente agli Stati, ex articolo 3b del Trattato articolato) ma che si fonda - com’è ovvio nella prospettiva continentale - sul senso primario del cosiddetto acquis comunitario (art. C di Maastricht), cioè sul corpo delle politiche che sono state già trasferite a livello europeo. Come accetteranno di veder sottoposte le proprie prerogative normative ad un ulteriore controllo di legittimità? C’è poi il capitolo della concorrenza. Un’altra falla che si aprirà nel Trentino Alto Adige non appena l’Unione europea (Ue) inizierà a funzionare a regime. I primi risultati già si vedono: molte sovvenzioni - autentico motore immobile della politica economica regionale - agli imprenditori che intendono investire in Trentino non sono più ammesse; diverse norme introdotte dallo Statuto di autonomia sono state riviste (come quella che concedeva contributi per lo studio delle lingue solo a chi possedesse la cittadinanza italiana e la residenza in Alto Adige, oppure quella sull’edilizia agevolata). Per far sopravvivere questa sorta di protezionismo trentino, gli ingegneri del contributo stanno infatti escogitando nuove forme di aiuto (impostandole, ad esempio, sugli affitti), in modo da aggirare la normativa comunitaria. Ma probabilmente il risultato non sarà più lo stesso. Sui fondi strutturali poi, quelli che l’Ue concede per favorire lo sviluppo (in regione ci sono diverse aree interessate al cosiddetto obiettivo 5b, destinato a zone rurali con scarso sviluppo socio-economico) ci sarà un altro giro di vite. Il commissario europeo per la concorrenza Karel Van Miert ha spiegato recentemente che a partire dall’anno 2000 nessuna iniziativa potrà essere finanziata oltre il 50% con fondi pubblici e mentre oggi il 51% della popolazione Ue può usufruire dei fondi strutturali, sempre a partire dal 2000, la percentuale massima sarà del 43% . Anche in questo caso, dunque, l’euro-Europa limiterà le opportunità di intervento pubblico. Ad ogni livello. Un terzo aspetto rende ulteriormente perplessi sull’euforia generale che accompagna in regione l’ingresso dell’Italia in Europa. Secondo i dati dell’Ufficio italiano cambi - che saranno divulgati il mese prossimo dalla rivista Altreconomia - è in netta progressione il volume degli investimenti di portafoglio (titoli amministrati dalle banche per conto dei clienti) indirizzati al Lussemburgo, paradiso fiscale europeo per eccellenza, dove il commissario europeo Mario Monti ha dichiarato di voler intervenire per eliminare ingiustificati privilegi. Secondo tali dati gli operatori trentini nei primi nove mesi del 1997 hanno effettuato investimenti di portafoglio per 174 miliardi in Lussemburgo, raddoppiando la cifra rispetto all’anno precedente (in tutto il 1996 tale volume ammontava a circa 83 miliardi) e quelli altoatesini - sempre nei primi nove mesi del 1997 - hanno investito in Lussemburgo 331 miliardi (contro i 221 dell’anno precedente; sempre portafoglio). La relativa esiguità della cifra non inganni: innanzitutto tali importi non tengono conto delle operazioni effettuate tramite operatori fuori regione; in secondo luogo va considerato che con questi valori il Lussemburgo è comunque la meta privilegiata di tale tipo di investimenti finanziari della regione, a dispetto di Austria, Germania, Francia e di tutti gli altri paesi dell’Unione. Insomma: la nostra finanza “scopre” il Lussemburgo proprio alla vigilia dell’euro e, quando l’Unione europea decide di neutralizzarne le franchigie, cerca di succhiare gli (speriamo) ultimi dolciastri rimasugli. Così l’establishment trentino e altoatesino contrappone l’euforia per un risultato che ci porta nell’Europa del (supposto) libero mercato e della moneta unica ad un comportamento marcatamente protezionista e spesso finanziariamente al limite del lecito. C’è qualcosa che non convince. È decisamente un entusiasmo non giustificato dallo stato reale dei fatti che dovrebbe gratificare solamente chi ha intenzione di misurarsi seriamente in regime di concorrenza. Ma che invece - nel caso regionale - può essere generato da un’idea di Europa che non è quella individuata dal pensiero liberal, quanto piuttosto da un disegno geopolitico che nel medio periodo potrebbe privilegiare il favore alle piccole patrie fondate su vincoli di nascita (lingua, razza e religione sono demarcatori già pronti, facilmente individuabili) e - alla fine - finalizzato al mantenimento di illiberali protezionismi. La vera politica europeista inizia da adesso. Maurilio Barozzi l’Adige e il Mattino 26 marzo 1998

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