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La pornoeredità di Rovereto (8/5/2001)

Aggiornamento: 16 ago 2023


È un’oscura storia di pericolo, di politica, sesso e calde insonnie, questa. E cominciò con uno squillo di telefono a notte fonda, in luglio. Il signor B. (di cui non serve dire molto altro, salvo che è un uomo sulla trentina d’anni, ricopre un ruolo politico a Rovereto e si batte per la comunità gay) stava steso sul letto nel silenzio, con le finestre aperte come una trappola tesa a catturare un po’ di frescura, rubandola al buio. Rileggeva un documento che aveva preparato per il consiglio comunale e non era molto soddisfatto di quel testo, tanto che ci stava su da un bel po’ e continuava a limarlo. Avrebbe ripensato molto a quel momento, in seguito, mentre ricostruiva per filo e per segno l’assurda vicenda di cui è stato protagonista, per raccontarla ai cronisti.

Dunque, il telefono. Squillò che era già passata la mezzanotte e il signor B. approfittava della breve tregua notturna che il caldo concedeva riflettendo se, in un particolare passo del suo discorso, sarebbe stato meglio usare il verbo «indulgere» oppure «perdonare». Il driiin lo agitò facendolo pensare ad una sventura. Poi realizzò che tutti quei trilli avrebbero svegliato i vicini e allora si alzò di scatto; schiacciò in fretta la sigaretta che fumava sempre, anche a letto, quando leggeva o scriveva; e concitato alzò il ricevitore col cuore che martellava d’improvviso alle tempie.

«Pronto?».

«Dovrei consegnarle un pacco» disse una voce calma che il signor J non riconobbe. La sentiva profonda, di uomo anziano. Ma non gli era familiare.

«Che pacco?».

«Non posso parlare. Merce delicata che sarà al sicuro solo nelle sue mani».

«Chi è lei?».

La voce non rispose nulla. Udì soltanto il clic dell’apparecchio abbassato. «Mah, ce n’è di gente strana» pensò. E tornò al suo lavoro, in certo modo tranquillizzato.


Quando, la notte successiva, il telefono squillò di nuovo, il signor B. non era solo in casa. Andò a rispondere nudo e molto scocciato: già immaginava le scenate di gelosia che avrebbero seguito una chiamata che arriva nel cuore della notte.

«Allora – disse ancora quella voce – quando posso consegnarle il pacco?».

«Ma quale pacco? – disse il signor B. – Non aspetto nessun pacco. L’ho riconosciuta, è quello di ieri. E se non mi dice chi è, sbatto giù il telefono e chiamo i carabinieri».

«Non posso parlare, ma si fidi».

«Come faccio a fidarmi, se non vuole dirmi nulla?».

Nell’altra stanza, la persona che stava nel suo letto cominciava a innervosirsi ed a chiamare il signor B. La voce al telefono s’interruppe, quasi avesse capito che il suo interlocutore non era solo. Un lungo, gelido silenzio fece dimenticare un istante al signor B. il caldo di quei giorni.

«Insomma chi è?».

Di nuovo il clic.

Dopo la telefonata, l’isterica discussione tra il signor B e la persona che stava con lui è faccenda privata e non riguarda questa storia; riguarda invece la vicenda il fatto che tale voce misteriosa nella notte cominciava a inquietare il signor B. Già, quella voce… Si aspettava altre telefonate. E pensò che l’unico modo per sapere qualcosa di più di questo pacco e del telefonista fantasma, fosse assecondare la richiesta della voce.

Passata mezzanotte, fumava nella penombra. L’anemica luce del lampione faceva indovinare la sua immagine ferma alla finestra. Nel silenzio roveretano, il signor B. poteva udire il leggerissimo sfrigolìo della brace che arrossisce il tabacco. I velli consunti e sudici alle finestre dei palazzi del centro storico annusavano il caldo umido e talvolta si muovevano a piccoli scatti. Intravide quei diafani sussulti generati da avari aliti d’aria. «È sempre così vuota, la notte, in questa città» mormorò quando, con una puntualità paragonabile solo a quella della morte, il telefono lo chiamò ancora.

«Allora, che vuole?» disse il signor B., appena sollevata la cornetta, certo che dall’altra parte del filo ci fosse la solita ineffabile presenza.

«Vuole fare ancora qualcosa per la Causa?» disse la voce.

«La Causa? Quale Causa? Si spieghi un po’ meglio» disse il signor B. E pensò alla politica che era la sua vita. Pensò alla manifestazione contro la globalizzazione di Genova sulla quale aveva dichiarato pubblicamente il suo parere. Qualcuno che gli esprimeva solidarietà? O forse un appunto? Pensò che avrebbe potuto essere una trappola.

«Si guardi dentro, riguarda anche lei» disse la voce.

«Cos’è tutta questa storia? E il pacco? Non me lo vuole più consegnare quel pacco?»

«È proprio il pacco la chiave di tutta la faccenda».

«Di che si tratta?».

Ci fu un lungo silenzio e il signor B. udì respirare l’uomo affannosamente, da vecchio stanco.

«Guardi: se è qualche cosa di illegale, io non ne voglio sapere».

«Niente di che» disse la voce.

A questo punto è inutile raccontare nei dettagli ciò che i due si dissero, in quella caldissima notte. Basti ciò: si accordarono per lo scambio del pacco, che sarebbe avvenuto in tempi dilazionati (uno per la consegna, uno per il ritiro, di modo che il signor B. e il suo interlocutore non si sarebbero incontrati), nel buio, all’interno della cabina telefonica che sta sotto un porticato del centro cittadino, in via Roma. Scelsero quel posto di comune accordo, dopo che la voce spiegò che il pacco non poteva rischiare di essere bagnato dalla pioggia, se mai si fosse deciso a piovere.


Ecco il signor B. con il pacco. Un grosso pacco. Salì le scale veloce ma senza accendere la luce per non far capire – qualcuno poteva averlo tenuto d’occhio – di essere arrivato a casa. Non sapeva ancora cosa contenesse, e aveva paura che potesse davvero trattarsi di un tranello. Temeva di essere stato seguito e così aveva fatto un lungo giro per rientrare a casa. Richiuse piano la porta prestando attenzione ad ogni minimo rumore e si rese conto che i cardini avrebbero dovuto essere oliati. Prima di allora non ci aveva mai fatto caso. Udì il suo cuore battere e sdoppiarsi nel petto, mentre girava la chiave. Dalle finestre entrava il debole chiarore giallognolo dei lampioni dipingendo sul soffitto della stanza un pallido trapezio. Il signor B. vi accostò il pacco, furtivo. Staccò la lettera che c’era incollata sopra e l’aprì, rompendo la geometrica proiezione di luce. Era composta da due fogli scritti a mano con bella grafia, e firmata. Diceva in sostanza che il firmatario (il nome non è rilevante) – presumibilmente la misteriosa voce – giudicava la propria permanenza nel mondo dei vivi a rischio (a causa dell’avanzata età, qualcosa che ha molto a che vedere con un numero d’anni a tre cifre) e pertanto avrebbe lasciato il proprio patrimonio culturale al Comune di Rovereto. Un’infinità di libri e documenti. Sottolineava però, con certo rammarico, che non riteneva opportuno mettere nelle mani dell’attuale assessore alla Cultura quel pacco, prezioso ma delicato, in quanto, c’era scritto testualmente sul foglio, «il professor Rasera non sarebbe in grado di valorizzarlo».

Non terminò nemmeno di leggere quelle note e scartò l’involucro. Era pieno di videocassette: a occhio e croce un centinaio.

Immaginatevi la sorpresa, per non dire sbalordimento, quando il signor B., infilato il primo nastro nel videoregistratore, si vide comparire sullo schermo due uomini completamente nudi che si baciavano su un sudicio divanetto e uno dei due metteva in bella mostra un sesso di dimensioni giganti.

Con la salivazione interrotta, spense il televisore e nella penombra riprese in mano la lettera. Per leggere anche l’ultima parte. Diceva: «Tenga lei questo materiale e ne faccia buon uso. Ma non lo butti, la prego! Ricordi che, sebbene l’oscurantismo non sia ancora finito, una volta, quando iniziai questa collezione di nastri, dell’omosessualità non si poteva nemmeno parlare. Comunque sappia che io non sono gay: facendo il servizio militare, confrontandomi con i commilitoni, mi accorsi che le mie dimensioni intime erano piuttosto scadenti. Da lì iniziai una ricerca dettagliata sulle diverse espressioni sessuali. Mi piacerebbe che il frutto di questa analisi fosse consultabile da chiunque ne abbia interesse. Ma, come le ho già detto, temo che l’assessore competente non permetterebbe l’esposizione».

Il signor B, per non incorrere in brutte sorprese, decise di raccontare la storia ai cronisti e andare in tribunale da un magistrato a mostrargli il contenuto di quello strano lascito. «Non vorrei consegnare qualche cosa al Comune e poi trovarmi incriminato per pedofilia» ha dichiarato in quei giorni di caldo insopportabile durante una grottesca conferenza stampa da lui indetta in tarda serata all’Eremo di San Colombano.

La vicenda – una vicenda vissuta di notte – dovrebbe essere conclusa. Invece qualcosa non torna. Da quel momento le notizie sui protagonisti si fanno frammentarie, e la matassa tende al garbuglio. L’unica cosa certa (realtà?), oggi, è che nell’archivio comunale – dove, secondo il racconto del signor B., l’offerente riteneva dovessero essere collocate – quelle videocassette non ci sono.


(L’Adige, 15 agosto 2001)

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