PAMPLONA, lug. 2003 (TERZA PUNTATA) - È il sei di luglio. Il giorno del Chupinazo, l'inizio della festa (quest'anno cade di domenica). È anche il giorno degli aumenti. Per quella bottiglia di birra che fino ieri sera costava 80 centesimi, adesso ti sifonano 2 euro. A Pamplona non c'è un angolo in cui rifugiarsi dalla gente. Impastoiati nella calca, come in autobus all'ora di punta, non ci si muove lungo la strada, non si riesce ad entrare nei bar.
A mezzogiorno in punto esplode la festa e tutti - vestiti di bianco con foulard e fusciacca rossi - stappano bottiglie, tirano panini, si spiaccicano schiuma da barba e pastelle d'uovo sui capelli, bevono a canna e si sbrodolano la maglia, i pantaloni. Poi, in marcia lungo le strade del centro. La bolgia sembra un corpo unico, magmatico, bianco e rosso, che si muove. Lento, ma si muove. Tocca seguire. Giù da plaza de l'Ayuntamiento, verso plaza Castillo e paseo Sarasate. Poi di nuovo dentro, lungo le vie del centro storico ormai consacrate a simulacro della bottiglia rotta. Io me ne sbatto visto che indosso gli stivali, certo però che se uno arriva lì con le infradito…
Con Etxia (il nervoso di ieri mi sarà passato, ma il nome gli resta!) seguiamo il serpentone ubriaco e le varie bande che suonano musiche di ogni tipo. Anche noi beviamo birra. «Come mai hai ancora la camicia così bianca?», mi chiede una ragazzina. E intanto mi spruzza il vino da un otre di pelle. «Era bianca», preciso. Lei ride. Pare aver colto il mio puntiglio. Ma continua a spruzzare.
Etxia si sta facendo inondare da tutti la sua splendida maglietta con la scritta Maritrini (appena ho girato l'occhio, se ne è fatto vendere una dalla lesbica). Ora è più rossa che bianca. «La terrò sempre così, senza lavarla. Per ricordo», dice mentre imbocca una porticina anonima che ci fa finire in un centro sociale. Pare aver la calamita, per 'sti luoghi.
Sbuchiamo in un grande cortile interno. La birra costa un euro e c'è un esplicito cartello: fuori gli sbirri.
Etxia è un angioletto al settimo cielo. Brama bagni d'umiltà. Sembra volersi riscattare dal destino che gli ha assegnato una posizione da ricco (garantisco che lo è, di famiglia). Cerca storie. Avventure che lo liberino temporaneamente dalla routine. Cerca locali brutti, topaie. Vuole vivere da povero.
«Sai – gli dico –, tu ignori, o fingi di ignorare, un dato semplice-semplice: non sei povero. È inutile che ti danni l'anima per dare di te stesso un'idea diversa. Anzi, vuoi sentirne una? Questa tua presa di posizione, se dovessero saltare fuori le tue origini, diventerebbe addirittura irritante, per i veri poveri. Perché, vedi, la povertà non è una scelta. Soprattutto per chi la vive 24 ore al giorno. Io, piuttosto, posso proclamarmi povero senza tema di smentita. Anzi, offrimi una birra».
«Ma vaffanculo, vah!».
3. CONTINUA
Pamplona, luglio 2003
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