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Pamplona/3 - El Chupinazo: l'inizio della fiesta

  • Immagine del redattore: Maurilio Barozzi
    Maurilio Barozzi
  • 25 giu 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 17 lug


Mezzogiorno del sei luglio: El Chupinazo de Pamplona (Foto Unsplash)
Mezzogiorno del sei luglio: El Chupinazo de Pamplona (Foto Unsplash)

PAMPLONA, lug. 2003 (TERZA PUNTATA) - Eccoci qui: è il sei di luglio. Il giorno del Chupinazo, l'inizio della festa. È anche il giorno degli aumenti. Per quella bottiglia di birra che fino ieri sera costava 0,80, adesso anche nei supermarket ti sifonano 2 euro. Non c'è angolo in cui rifugiarsi dalla folla che canta, balla, beve dagli otri di cuoio. Impastoiati nella calca, come in autobus all'ora di punta, non ci si muove lungo la strada, non si riesce ad entrare nei bar.


A mezzogiorno in punto l’esplosione di un razzo decreta il via della festa e tutti – vestiti di bianco con foulard e fusciacca rossi – stappano bottiglie, spruzzano vino, tirano uova e panini, si spiaccicano schiuma da barba e pastelle d'uovo sui capelli, bevono a canna e si sbrodolano la maglia, i pantaloni. Poi, in marcia.

Lungo le vie del centro la bolgia sembra un corpo unico, magmatico, bianco e rosso, che si muove lento, ma si muove. Tocca seguire. Giù da Plaza de l'Ayuntamiento, verso Plaza Castillo e Paseo Sarasate. Dunque di nuovo dentro, lungo le vie del centro storico ormai consacrate a cimitero della bottiglia rotta. Io me ne sbatto visto che calzo gli stivali, certo però che se uno arriva lì con le infradito…

Con Etxia (il nervoso di ieri mi è passato, ma il nome gli resta!) seguiamo il serpentone – tutti ubriachi – e le varie bande che suonano musiche di ogni tipo. Anche noi beviamo birra.

«Come mai hai ancora la maglietta così bianca?», mi chiede una ragazzina. E intanto mi spruzza il vino da un otre di pelle.

«Era bianca», preciso.

Lei ride. Pare aver colto il mio puntiglio. Ma continua a spruzzare.

Etxia si sta facendo inondare da tutti la sua splendida t-shirt con la scritta Maritrini (appena ho girato l'occhio, ieri, se ne è fatto vendere una dalla Saffo del bar). Ora è più rossa che bianca. «La terrò sempre così, senza lavarla. Per ricordo», dice mentre imbocca una porticina anonima che ci fa finire in un centro sociale. Pare aver la calamita per ‘sti luoghi. Sbuchiamo in un grande cortile interno. La birra costa un euro e c'è un esplicito cartello: fuori gli sbirri.

Etxia è un angioletto al settimo cielo. Brama bagni d'umiltà. Sembra volersi riscattare dal destino che - guarda un po’ la sfiga - gli ha assegnato una famiglia benestante. Cerca storie. Avventure che lo liberino temporaneamente dalla routine. Cerca locali brutti, topaie. Vuole vivere da povero.

«Sai – gli dico –, tu ignori, o fingi di ignorare, un dato semplice-semplice: non sei povero. È inutile che ti danni l'anima per dare di te stesso un'idea diversa. Anzi, vuoi sentirne una? Questa tua presa di posizione, se dovessero saltare fuori le tue origini, diventerebbe addirittura irritante, per i veri poveri. Perché, vedi, la povertà non è una scelta. Soprattutto per chi la vive 24 ore al giorno. Io, piuttosto, devo convivere con le mie umili origini. Anzi, offrimi una birra».

«Ma vaffanculo, vah!».


3. CONTINUA


Pamplona, luglio 2003


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