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Pamplona/4 - Ospitalità basca: ricordi dell'Eta

  • Immagine del redattore: Maurilio Barozzi
    Maurilio Barozzi
  • 26 giu 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 17 lug


Bandiere basche a Pamplona durante i Sanfermines (Foto Unsplash)
Bandiere basche a Pamplona durante i Sanfermines (Foto Unsplash)

PAMPLONA , lug. 2003 (QUARTA PUNTATA) - L’encierro, che letteralmente significa l’atto di rinchiudere, è la prerogativa di San Fermin. Dalla Cuesta Santo Domingo, ogni mattina dal sette al quattordici luglio, sei tori con svariati manzi vengono liberati per la via Santo Domingo che, lungo la Mercadores e l’Estafeta perimetrate da barreras (staccionate semovibili), devono raggiungere la Plaza de Toros. Sono 848 metri percorsi all’impazzata dalle bestie assieme a migliaia di uomini che decidono di correre con loro, “accompagnandole” all’arena. Dal 1922, quando hanno costruito la Monumental de Pamplona, l’attuale Plaza de Toros, il tragitto è sempre lo stesso. Cambia solo l’orario: Hemingway in “Fiesta” parlava delle sei del mattino. James Michener, giunto qui sulle sue orme, in “Il mondo è la mia casa” annota le sette. Da quando ci vengo io - dal 1998 - si corre alle otto. Tuttavia, tale dilazione oraria non è stata sufficiente per consentirci di assistere al primo encierro dell’anno. Il Chupinazo di ieri è stato pesante e così ci siamo alzati troppo tardi e abbondantemente rincoglioniti. Dunque con Etxia decidiamo di rimanere a Larrasoaña, nel giardino di Ventura e Pilar a prendere il sole, leggere un po', fare bagni nella piscina del vicino che anche oggi è a Pamplona con moglie e bambini, lasciandoci il permesso per la piscina. Mi piace quel tipo.

La signora Pilar ogni tanto sbuca sul balcone e ci fa segno di aver preparato qualche cosa: una volta prosciutto e melone; un'altra volta insalata con la maionese. C'è sempre qualche birra ghiacciata. Cazzo, quasi quasi mi trasferisco.

In casa trovo una brochure che racconta le origini dell’encierro e mentre Etxia si diverte in piscina, lo leggo. In origine, parliamo del 1591, quando la festa taurina fu anticipata da ottobre a luglio facendola coincidere con quella del patrono, l’encierro non faceva parte del rituale. Era il sistema per portare i tori dalle porte della città fino all’arena, dove avrebbero combattuto nel pomeriggio. Col tempo poi è diventato il denotante della festa e, come tale, fu approvato nel 1876. Il tragitto misura esattamente 848,6 metri e la velocità media di percorrenza è di 3 minuti e 55 secondi. I tori corrono a 24 km all’ora e i due encierros più tragici furono quelli del 10 luglio 1947 e del 13 luglio del 1980 quando i tori Semillero e Antioquio uccisero rispettivamente due ragazzi. L’encierro più lento fu invece quello dell’11 luglio 1959: durò 30 minuti e gli organizzatori dovettero introdurre un cane perché mordesse il toro renitente, un miura, convincendolo a raggiungere la Plaza de Toros.


Dopo una giornata di recupero, la sera stiamo in veranda coi vecchi: chiacchierata rilassante a base di Pacharán. Mano a mano che beve, Ventura alza il volume della voce. Comincia raccontando del freddo che d'inverno si patisce, da queste parti. Dice di un pellegrino brasiliano diretto a Santiago de Compostela: disperso a novembre, fu ritrovato a marzo completamente congelato sui monti qui sopra. E, ridendo, indica con il braccio un punto lì davanti, nel buio. Ride anche Pilar, sottolineando che Ventura ha una comicità macabra. Lui ripete due volte la storia, insistendo molto sul fatto che - quando lo ritrovarono - il brasiliano aveva congelata sul viso un'espressione ebete, come se ridesse. Ovvio, era ibernato. Ma evito di farglielo presente.

Invece, domando a Ventura e Pilar dell'Eta. All'inizio stentano un po'. Espongono solo versioni ufficiali. Dicono: «L’Eta sbaglia a comportarsi così. Sbaglia a fare attentati. Sbaglia a uccidere». E giù Pacharán. Piano piano cominciano a proclamare che «la lingua euskera è molto, molto più antica del castigliano». Pacharán. Ventura molla gli ormeggi: «Aznar - che lui chiama "El da el bigote", "Quello coi baffi" - sta facendo danni enormi e limita l'autonomia basca». Pacharán. Sostiene che negli ultimi vent'anni anche a Pamplona è aumentato il numero di chi parla euskera (da 1% a 22%). «Eppure - precisa - Pamplona è Navarra, non c'entra molto con le province Basche». Le cita segnandole con le dita: Guipuzcoa, Euskadi e Alava. Sia Ventura che Pilar sono di Bilbao e, Pacharán su Pacharán, salta fuori la loro natura basca. Oh, la!, così mi piace. Ventura: «L’omicidio di Carrero Blanco, il 20 dicembre 1973, è stata una cosa inevitabile, finanche giusta, tra quelle fatte dall'Eta». Pacharán. «"El da el bigote" non rispetta lo statuto di Guernica sulle minoranze basche, vidimato nel 1980». Ormai è notte piena. Tutto nero come il carbone, e non passa un'automobile a morire. Se smettiamo di parlare, si sente il frinire delle cicale. Nient'altro. Ci dicono che quando erano giovani, appena arrivati ad abitare lì, spesso passava una pattuglia della polizia per tenerli d'occhio. E ogni tanto succede ancora oggi, sebbene con meno frequenza.


Cambiamo traiettoria. Puntiamo i nostri flussi cerebrali su un'altra faccenda: l'Opus Dei. «A Pamplona controlla tutto» sentenzia Ventura. Pilar annuisce. Dice di Escrivá de Balaguer, il fondatore. Sarebbe arrivato lì da Saragozza. Racconta del dominio Opus Dei su università (lui ha mandato il figlio a studiare a Madrid, proprio per sottrarlo a questo giogo) e mondo del lavoro. Pilar perfeziona le secche frasi di Ventura, le specifica, ma vanno d'accordo su ogni argomento.


Verso l'una e mezza Ventura beve l'ultimo. Si va a dormire. Domattina c'è il secondo encierro della Fiesta. Ci dà appuntamento alle otto precise, in salotto. Ventura dice che l'encierro si vede molto meglio alla tivù. «E non si rischia di essere incornati», aggiunge. Faccio notare che anche eminenti personalità corrono l'encierro. «Lo scrittore Michener o Manuel Patarroyo, quello che ha scoperto il vaccino della malaria, per dirne un paio». Ventura alza le spalle e allarga un poco le braccia senza voltarsi mentre s'incammina verso la sua stanza.


4. CONTINUA


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Pamplona, luglio 2003


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