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Immagine del redattoreMaurilio Barozzi

Pamplona/5 - Il maratoneta incornato

Aggiornamento: 8 nov 2021


PAMPLONA, lug. 2003 (QUINTA PUNTATA) - Alle otto meno due minuti scendiamo dalla camera. Ci aspettano Pilar e la colazione. Ventura non c'è. La signora dice che suo marito resta a vedere l'encierro in camera. Etxia non l'ha mai visto, l'encierro. Vorrebbe sapere qualche cosa di più. Ma non c'è tempo per spiegare. Stanno inquadrando i tori, sette animali con attorno un po' di manzi che dovrebbero accompagnarli per le strade di Pamplona. Da lì fino all'arena, 850 metri all'impazzata nel cuore della città, in mezzo a centinaia di persone che corrono con loro.

Esplode un razzo. I tori sono liberi. Si capisce subito che non sarà tranquillo, questo encierro. I tori non restano uniti. Si disperdono. Entrano alla rinfusa in mezzo al fiume di folla in corsa. Quando si disuniscono sono pericolosi, difficili da controllare. Ne tieni d'occhio uno e perdi di vista gli altri. A gettare uno sguardo distratto, gli animali sono più di dieci. Ma quelli da temere, correndo in strada, sono i sette tori. Quelli incornano, i castrati no. Ora basta chiacchiere.

Alla rinfusa, impazziti con le bave alla bocca, gli animali corrono furiosi lungo le strade transennate. Qualcuno perde l'equilibrio, scivola a terra. Bestioni da 500 chili che schizzano come saponette sull'acciottolato. Meglio non essere in traiettoria. Un toro è fermo. Sbava rabbia. Si gira di scatto e incorna un uomo. Sembra un vecchio e finisce a terra. Il toro lo incorna ancora, e ancora. L'uomo è inerte, si direbbe un manichino, ma c'è sangue che cola sui pantaloni strappati dalle cornate. Due o tre coraggiosi cercano di distogliere l'animale dal suo gioco; lo tirano per la coda; uno usa il giornale arrotolato per colpirlo sul dorso e poi scappare. Finalmente il toro si scansa e riparte verso l'arena. L'uomo resta disteso sulla strada. Infermieri in giacca arancione saltano le barreras di legno massiccio dove sono arrampicate migliaia di persone. Portano le prime cure al ferito. Lui ricomincia a muoversi. Poi ecco l'ambulanza. Mentre lo caricano, il ferito alza il capo. Saluta una telecamera che è lì per inquadrarlo. Sembra contento, soddisfatto delle sue punteruolate. Avrà almeno settant'anni.

Ventura sbuca fuori dalla sua stanza ridacchiando. Ricorda la faccia dell'incornato e lo sfotte. Ribadisce che l'encierro è meglio guardarlo alla tivù.

«Ehi reporter, domani andiamo sul posto» dico a Etxia, impermeabile alla tesi di Ventura.

«Sicuro».



Per la cronaca, il Diario de Navarra del giorno dopo riporta: il ferito, tal Al Gleen Chesson, è americano. Corre encierri dal 1981. In questo periodo stava anche preparando una maratona. Tre cornate nella gamba destra. Nove punti di sutura sulla fronte. Un occhio pesto. Ecco il bilancio della sua impavida sfida col "cebada gago" chiamato Hormigón. Per un po' Al Gleen la maratona se la scorda.

5. CONTINUA


Pamplona, luglio 2003

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