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Pamplona/7 - La tristezza dell'addio

  • Immagine del redattore: Maurilio Barozzi
    Maurilio Barozzi
  • 29 giu 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 7 lug


Pamplona (Spagna): Gigantes y Cabezudos
Pamplona (Spagna): Gigantes y Cabezudos

PAMPLONA, lug. 2003 (SETTIMA PUNTATA) - È ben vero che, durante la Feria di Pamplona, la corrida è uno spettacolo da non mancare. Tuttavia nemmeno per quella sono disposto a subire la solita fregatura turistica. Così dico subito a Etxia che non intendo scucire più di 20 euro per un biglietto che ne valga 15 o 17. Naturalmente, riuscire nell'impresa è speranza ardua.


Alle quattro del pomeriggio siamo davanti all’arena, Paseo Hemingway, un piazzale coperto da alte piante di platano pieno di bugigattoli da souvenir e bagarini che spacciano biglietti per la corrida. Al botteghino sono finiti, loro ne hanno a bizzeffe. Sono 20 o 30, a trafficare. I ticket da 17 euro ce li propongono a 50.

Che io sia maledetto se te lo compero, bagarino del cazzo.

Proviamo ad aspettare. Magari con l'avvicinarsi dell'inizio della corrida, i prezzi calano.

Campa cavallo che l'erba cresce.

D'altra parte, la contrattazione è pittoresca. Questi derelitti umani dall'alito alcolico e ogni rogna addosso urlano, piangono, si dannano, si arrabbiano. Prefiche ad un funerale; eppure non calano di un euro, i maledetti. Le leggi di mercato le conoscono bene e a governarle sono strampalate comparse che - senza far fila - riescono sempre ad accaparrarsi tagliandi d'ingresso a pacchi. La polizia vede, altroché. Ma fa finta di niente.

Un bagarino gira mostrando il prezzo dei suoi biglietti scritto sul display del telefonino.

Capito: non arriveremo mai ad una cifra accettabile (preferiscono bruciarli, che venderli al prezzo ufficiale). Allora Etxia si diverte a provocare i venditori con proposte che loro giudicano irriverenti (e in realtà lo sono). Chiede due ticket a 10 euro, quando gli erano stati proposti a 45 l'uno. Uno urla e ci insulta; un altro se ne va e basta. Uno pensa di aver capito male e invita Etxia a scrivere la sua offerta su un pezzo di carta. Quando vede 10 euro, ci indica un cinematografo, cento metri avanti.

Aspettando che maturino i tempi, assistiamo nel piazzale antistante alla parodia di una corrida messa in scena da un gruppo di animalisti che mimano faenas e le rendono volontariamente grottesche.

Sfiniti da giorni di calca, caldo e libagioni, il divertimento termina in fretta.

Siccome mezz'ora dopo l'inizio della corrida i prezzi sono ancora esorbitanti, decidiamo di rinunciare. Meglio un paio di Anis de toro mentre attendiamo degli amici che saluteremo in serata prima di lasciare Pamplona.

La sera, ritrovati tutti, ci sediamo al Café Iruña, alla Hemingway. Beviamo qualche birra e parliamo. «Osasuna». Poi saliamo ai piani superiori di uno dei locali della piazza. Sopra: balere per chi ama ballare il liscio. Mi ero sempre chiesto dove fossero quelli che non cercano «la locura», come la signora Pilar chiama il casino da matti. Ecco dove sono: quassù.

Stiamo ancora un po'. È calmo da qui. Si beve e si parla, tranquilli. Poi, verso l'una ci lasciamo. Loro, i nostri amici, sono appena arrivati e dunque belli carichi, pronti ad assistere all'encierro del giorno successivo e tuffarsi nella fiesta.

Etxia ed io siamo sfiniti: in tanti anni mai sono resistito alla festa di Pamplona più di cinque giorni.

Eppure nemmeno il pensiero di poterci riposare un po' lontani dal caos ci toglie quella tristezza che sempre assale quando lasci una bolgia totalizzante. Quando devi andartene, sembra che ti manchi qualche cosa e capisci che, nonostante tutto, quelle giornate vissute così intensamente ti hanno comunque riempito. Esperienze, persone conosciute, ritmi esasperati: tutto fa parte di un pezzo di vita che sai essere stato irripetibile. A tornarci spesso è ancora più evidente: mai due situazioni si ripetono nello stesso modo, anche se la liturgia degli eventi programmati - preparativi, chupinazo, encierro, corride - parrebbe suggerire il contrario. È un pezzo di vita che se ne va, tocca prenderne atto. Ecco tutto.

Addio Pamplona. Ma è un addio che gonfia il cuore fino a farlo lacrimare.


7. FINE

Pamplona, luglio 2003

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