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SE ANCHE IL COVID FINISCE IN COMMEDIA (Dalla mia pagina Fb Maurilio Barozzi Autore)

Aggiornamento: 24 giu 2020


Le feste partenopee per la conquista della coppa Italia del Napoli, l'altra sera, hanno concluso a tutti gli effetti il lockdown da covid19. E lo hanno fatto all’italiana, cioè con un’iconografia figlia della commedia dell’arte. Una rappresentazione in cui ognuno indossa la maschera che tutti si aspettano che indossi e si muove nel preciso solco del canovaccio. La stella polare è il motto “passato il momento, gabbato il santo”. Per ora, intanto, via Cassandre e prefiche. Torneranno se sarà il caso.


Sport, arte, maschere si sono mischiati per riuscire in un’opera liberatoria - una specie di carnevale dopo la Quaresima - di cui evidentemente molti sentivano l’urgenza, dopo la tragedia immane delle migliaia di morti e gli ospedali pieni.


“Perché stupirsi se i tifosi festeggiano una coppa?” si è domandato il direttore del Tg La7 Enrico Mentana. E ha poi aggiunto: “Se fossi stato un tifoso del Napoli sarei sceso in strada anch’io”.


Già, perché stupirsi?


Come non ci stupiamo che Arlecchino serva con astuzia due padroni, che Balanzone sproloqui a lungo di ciò che manco conosce che Pulcinella trovi l’escamotage per gabbare il potente di turno, così non ci stupiamo che il tifoso di calcio scenda in strada a far festa. “Passato il momento, gabbato il santo”, dunque. E al diavolo il Covid. Per la felicità dei brontoloni da tastiera pronti a mugugnare sulle misure restrittive imposte dal governo in questi tre mesi, senza peraltro contestarle apertamente e coi fatti, come farebbe un vero rivoluzionario (pagandone eventualmente le conseguenze). O per la disperazione dei paternalisti a singhiozzo, capaci di rifugiarsi dietro le norme quando le giudicano favorevoli ma altrettanto pronti a trasgredirle se trovano conveniente farlo. Con De Andrè: inclini a dare buoni consigli se non possono più dare il cattivo esempio.


Proprio qui sta il punto. Come nella commedia dell’arte (ma in tutte le opere di finzione), il motore delle nostre azioni non è la legge - di fronte alla quale siamo tutti uguali - bensì la nostra personale idea di giustizia. Che nella rappresentazione iconica trasfigura in mimesi della giustizia. Dunque festeggiare è giusto e il fatto che tali baccanali travalichino ostentatamente i confini posti dalla legge (il distanziamento sociale) e giungano alla presunta fine di una pandemia non fa che renderne più eclatante il significato. Oltreché giusti, appaiono compensatori dell’ingiuria che la popolazione intera ha subito dal Covid. La passione supera la legge e impone la giustizia riparatrice, quasi una vendetta nei confronti dell’isolamento coatto.


Del resto, già durante la clausura tale concezione diseguale della giustizia era emersa con plastica evidenza. Il motto “restiamo a casa”, latore di un senso di comunità, di comunanza, di uguaglianza, si è ben presto trasformato surrettiziamente in un imperativo che ne stravolge la natura: “Restate a casa”. La virata semantica annulla l’eguaglianza (e così la legge) per riecheggiare la giustizia. Restate a casa perché è giusto così, obbedite: lo dico io che sono più importante di voi, sono legibus solutus e libero dai vincoli per qualche auto certificato motivo.Insomma: gli ingredienti della commedia dell’arte c’erano già tutti, mancava solo il colpo di scena finale, la grande festa e il disordine trionfante che, straripando, cancella i confini. È accaduto a Napoli.


Già, dice Mentana. Perché stupirsi se i tifosi festeggiano una coppa?

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