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Turchia, odio senza fine (Gen. 1998)

Aggiornamento: 16 ago 2023



(Istanbul, gennaio 1998)

ISTANBUL (Turchia) – È una tappa obbligata, Istanbul, per i curdi che dalla Turchia intendono salpare per l’Europa. Sia per i porti che si trovano sul Corno d’Oro, sul Bosforo o sul Mar di Marmara, che per la possibilità di rimanere per diversi giorni in attesa del momento propizio dell’imbarco nel più assoluto anonimato. Qui sono i quartieri russi (Laleli e Aksaray) ad offrire le maggiori potenzialità a coloro che arrivano dalle zone del sud-est dell’Anatolia con un solo obiettivo: fuggire dalla guerra. Una guerra strisciante, che ha prodotto dal 1984 quasi trentamila vittime, moltissime delle quali contate tra civili innocenti. Una guerra che l’esercito turco ha dichiarato ai militanti separatisti del Partito curdo dei lavoratori (Pkk) . E che gli stessi guidati dall’ormai mitizzato Apo (il nome d’arte di Abdullah Öcalan) stanno interpretando con spietato realismo. Arrivati nel quartiere di Laleli o in quello di Aksaray, per chi vuole nascondersi o prepararsi all’imbarco, il più è fatto. È la zona russa. Dedita alla prostituzione su scala industriale e al traffico «delle valigie», come lo chiamano i turchi, che consiste nell’acquistare merce di bassa qualità per andare a rivenderlo poi nei mercati di Mosca. Per favorire questi trasporti si è sviluppata una fitta rete di agenzie specializzate, di pensioni-bordello o anche grandi alberghi il cui personale è in grado di consigliare a chiunque ne abbia bisogno (e i soldi necessari) il giusto indirizzo. Trovare gli organizzatori di questi viaggi, che tanto ormai sono conosciuti anche in occidente è semplice. Si va dall’elegantissimo Akgün hotel – sulla Vatan Caddesi, un cinque stelle che sembra una fortezza – al buon hotel Zurich, a due passi dall’Università, al più modesto Sümer hotel, specializzato in prostitute russe, ma in grado anche di offrire una consulenza di trasporto. Ci sono poi le infinite agenzie turistiche, i negozi di giacche, quelli di intimo. Tutti pronti a fornire il giusto contatto non solo a chi deve partire, ma a chiunque debba nascondersi, sia curdo, iraniano, azero o siriano. E qui, se si è introdotti nel giro da qualche intermediario, qualcosa da fare lo si trova: dal facchinaggio delle valigie per le donne russe che acquistano “all’ingrosso”, al trasporto di taniche d’acqua, all’attività di lustrascarpe, magari in concorrenza con i ragazzini che a dieci anni sono già stufi di andare a scuola ma che hanno imparato qualche parola in tutte le lingue del mondo, sanno chiederti soldi e darti ruvide informazioni. Poi ci sono i mercati. Quello di Beyazit Meydani, ad esempio, è abusivo: si svolge solo il sabato e la domenica perché i poliziotti sono di meno e non hanno nessuna voglia di fare le straordinarie per sgomberare migliaia di persone. Qui – nonostante i molti zingari e gli azeri – la stragrande maggioranza è curda. Chiunque voglia sentire il suono della propria lingua può trovare soddisfazione. E un aiuto. IL PROBLEMA CURDO? «UNA MONTATURA» In riva al Bosforo, parlando con la gente, il problema curdo lo si avverte di striscio. «Non esiste un problema curdo – taglia corto Bayral Aiaattin, un imprenditore turco che sta arrotondando il suo capitale in Italia, investendolo alla Borsa valori di Milano –. Voi occidentali vi fate suggestionare, ma il problema è tutta una montatura». E questa è un po’ la vulgata turca. Nessuno si scompone quando gli si ricordano le cifre: quasi trentamila morti dal 1984 ad oggi. Quasi tutti curdi e moltissimi civili. Circa quattromila villaggi distrutti. Torture sistematiche. Trentacinquemila uomini mobilitati nel sud-est dell’Anatolia (il cosiddetto Kurdistan). «Guarda lì – spiega nella piazza del Gran Bazar, indicando un gruppo di persone che parlano, Murat Kuyucuclu, un ragazzo di Istanbul che fa la guida turistica –. Quelli sono curdi: nessuno li disturba. Il nostro più famoso cantante è un curdo ed ha numerosissimi fans turchi. Abbiamo diversi generali militari curdi. In parlamento molti sono curdi. Le persecuzioni sono una forzatura. Spesso sono gli stessi militanti curdi separatisti che uccidono chi non sostiene la lotta contro il governo. Familiari e bambini compresi». Il riferimento è ad alcuni rapporti di Amnesty International e della Commissione per i diritti umani che – oltre a denunciare le repressioni turche – riconosce anche le violenze praticate dai militanti del Pkk. E anche il recente esodo che ha portato sulle coste italiane circa duemila curdi è stata una montatura? – ci permettiamo di osservare. La risposta non si fa attendere: «Nelle zone del sud est dell’Anatolia (il kurdistan turco, ndr) c’è una povertà immensa – offre la sua versione Bayral –. Come avrebbero potuto questi disperati trovare 3 o 4 mila dollari per emigrare? La risposta è semplice: sono la Siria, la Grecia e l’Iran che fomentano questi movimenti e che danno i soldi ai curdi per emigrare. Così gli osservatori internazionali e gli stati occidentali dicono: “Se i curdi scappano allora è vero: i turchi li perseguitano”. Ma sono tutte balle». Di fatto, queste parole confermano un dato: la guerra c’è. Ed a pagarne le conseguenze sono i civili che abitano nei villaggi sospettati o dai militari di fornire aiuti ai guerriglieri del Pkk e dunque evacuati e bruciati, oppure dagli estremisti curdi che da 14 anni assassinano le maestre turche o i professori accusati di diffondere la lingua turca, familiari compresi – magari curdi. INTERESSI GEOPOLITICI DIETRO IL PKK? Elif Semiha Küflü, una giornalista, insiste sulle responsabilità da dividere con gli stati vicini per i disagi curdi. «Le stime dell’Alta commissione per i rifugiati dell’Onu parlano di oltre 200 mila curdi nel nord-est della Siria che non sono riconosciuti come cittadini – sostiene Semiha Küflü –. Ai giovani curdi di quest’area non è permesso andare alle scuole superiori e così sono forzati a intraprendere i lavori meno qualificati, dunque incoraggiati a ingrossare le fila del Partito dei lavoratori curdi (il Pkk, anch’esso fuorilegge, ndr). Inoltre il presidente siriano Hafez el-Assad e alcuni stati dell’occidente sono pronti a criticare le violazioni dei diritti umani della Turchia. Ma chiudono spesso un occhio su quelle che l’Iran, l’Iraq e la Siria perpetrano nei confronti dei curdi». «Non dimenticherei l’Egitto – aggiunge Ilnur Çevik, il direttore del Turkish Daily News, un giornale turco in lingua inglese –. Nonostante sia di questi giorni la notizia che Abdullah Öcalan, il leader dei terroristi del Pkk, stia vivendo tranquillamente nella libanese Valle del Bekaa, sotto il controllo della Siria, e che là addestra le sue forze, il presidente egiziano Mubarak non condanna pubblicamente Damasco, come invece aveva promesso di fare». Secondo queste tesi, a creare tensioni alla Turchia sarebbero la sua posizione geografica e le sue potenzialità geopolitiche. La Siria e l’Irak temono che i turchi trattengano le acque del fiume Eufrate per alimentare una megacentrale idroelettrica, lasciandoli a secco. Ed allora cercherebbero di mettere in cattiva luce verso l’occidente lo stato turco, alimentando l’attività dei terroristi separatisti curdi. Ma oltre a questi, i turchi hanno anche altri problemi con i vicini: si va dalla questione cipriota con la Grecia alla querelle con tutti gli altri stati arabi per il fatto di intrattenere relazioni economiche con Israele (in particolare sulla fornitura di armi, come dimostra la recente partecipazione dell’areonautica israeliana alla gara d’appalto turca di 3,5 miliardi di dollari per la creazione di 145 elicotteri d’attacco)[1]. Il problema curdo sarebbe dunque, secondo questa linea, una falsa questione, sollevata ad arte. E IL GOVERNO TURCO? Da una parte il governo turco – ed il parlamento – attraverso l’istituzione di una Commissione sulla migrazione giudicano «assolutamente di primo piano» il problema della migrazione dalle regioni dell’est e del sud-est dell’Anatolia. Ma dall’altra non sembrano intenzionati ad assumere alcuna seria decisione politica sulla questione curda. La Commissione parlamentare ha concluso il suo rapporto (presentato sabato 17 gennaio 1998) dove si evidenzia che la migrazione deve essere fermata innanzitutto perché impoverisce l’economia della regione: «La produzione agricola e animale sta declinando drasticamente», scrivono i commissari. Ma non solo. Il rapporto cerca di analizzare pure le motivazioni di un esodo ormai insostenibile che nei giorni scorsi ha investito anche le coste italiane (il direttore dell’Alto commissariato dell’Onu ha però spiegato che il fenomeno non ha subìto incrementi rispetto al solito). Innanzitutto, sostiene la Commissione, c’è un problema di pubblica sicurezza: la recrudescenza del conflitto tra forze regolari e le organizzazioni separatiste curde ha prodotto nei cittadini dell’area un disordine di carattere sociale, economico, culturale e psicologico. «La maggior parte degli emigranti – dice il documento – non è stato coinvolto nel processo di miglioramento delle condizioni ed è caduto nella trappola delle bande della zona [..] I giovani che sono emigrati hanno assecondato un perfido disegno finendo nelle attività illegali, intrappolati dalle bande criminali e irrobustendo così le radici delle organizzazioni terroristiche». «Del resto è proprio così – commenta Murat –: mentre attendono di essere imbarcati, questi giovani stanno nascosti nelle strade di Istanbul per diversi giorni. E fanno tutto quello che viene chiesto loro». La tratta delle persone, l’immigrazione clandestina sta diventando un business dei più redditizi per le organizzazioni criminali. I viaggi vengono pagati in anticipo e l’esito dell’operazione non ne compromette l’incasso. A differenza di armi e droga, nei quali le varie mafie sono specializzate, la tratta delle persone presenta meno rischi di impresa: l’intercettazione di un carico di armi o droga fa sfumare il guadagno. Se affonda un’imbarcazione oppure alcuni clandestini vengono bloccati, non cambia nulla. I soldi sono già in cassa. In questo traffico la mafia curda è all’avanguardia. Ha superato anche quella dei Lupi grigi che ora cerca di recuperare terreno favorita anche dal fatto di essere molto più radicata all’interno delle forze di polizia che – come segnalano quotidianamente i giornali – hanno fama di essere tra le più corrotte del mondo. La Commissione cerca così di trovare una soluzione al problema emigrazione: nelle conclusioni del rapporto si evidenzia che la sicurezza non può essere garantita solo con misure militari. «Combattendo con il terrorismo – scrivono – e detenendo l’unità del paese si effettua un ottimo lavoro per lo stato, ma nello stesso tempo proteggere i diritti umani dei residenti dell’area è una responsabilità essenziale dello stato stesso». Questo documento è stato presentato sabato 17 gennaio. Purtroppo già mercoledì 21, quattro giorni dopo, le agenzie di stampa battevano ancora un’ennesima notizia tragica: «Almeno 45 guerriglieri del Pkk ed otto uomini delle forze di sicurezza governative sono rimasti uccisi in una serie di combattimenti verificatisi nelle province sud-orientali della Turchia. Lo riferiscono fonti governative ...». Così, mentre la versione governativa turca trova molti portavoce anche tra le persone comuni, la versione dei curdi è praticamente affidata esclusivamente ai comunicati ufficiali. Murat Bozlak, presidente del partito filocurdo Hadep ha detto chiaramente che dopo la recente ondata migratoria «il problema curdo è ormai internazionale ed è necessario che i paesi europei intraprendano iniziative per risolverlo», ed ha ricordato i trentamila morti che il conflitto ha prodotto in 13 anni. Ma nessuno dei milioni di curdi che vivono e lavorano per le strade di Istanbul ha voglia di spiegare cosa pensa. E del resto chi potrebbe fidarsi, in questo clima, di una persona che non ha mai visto e si qualifica come giornalista italiano e di una guida turca?

______________________ [1] L’Industria areonautica israeliana (IAI) concorre in partnership con la ditta russa Kamov ad una gara d’appalto bandita dalla Turchia per 3.5 miliardi di dollari per la fornitura di 145 elicotteri d’attacco. (Cfr. Turkish Daily News di venerdì 16 gennaio 1998) Maurilio Barozzi L'Adige e il Mattino 28 gennaio 1998 e Altrafinanza 9/97

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